L’Europa, secondo il sociologo Z. Bauman

“Una certa idea di Europa” firmata Zygmunt Bauman

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Z. Bauman

Tre le provocazioni del filosofo Zygmunt Bauman sul futuro dell’Europa allo European Culture Congress di Wroclaw, l’evento più importante della presidenza polacca dell’UE: il disprezzo di Bismarck, un mosaico di “forme di vita” in estinzione, e la scommessa sulla cultura europea.

Sembrerebbe, infatti, che la storia abbia dato ragione a Otto von Bismarck, che nel 1876 definiva laconicamente l’Europa una “mera identità geografica”. L’idea di Europa che trapela dai giornali, sostiene Bauman, è filtrata da categorie materialistiche e ha a che fare con l’allargamento, l’euro e le preoccupazioni legate al futuro. L’Europa è sicuramente una realtà tangibile nel mondo, come sosteneva Bismarck, ma qual è la sua vocazione?

Bauman fa rispondere a Steiner: l’Europa deve avere una vocazione spirituale.

Il compito dell’ Europa è di ordine “spirituale e intellettuale”. Il genio dell’Europa è ciò che William Blake avrebbe chiamato ‘la santità dei minimi particolari’. Il genio di una varietà linguistica, culturale, sociale, di un ricchissimo mosaico che spesso trasforma una distanza irrilevante, una ventina di chilometri, in una frontiera tra due mondi (…). L’Europa morirà se non combatterà per difendere le proprie lingue, le proprie tradizioni locali e le proprie autonomie sociali”
(G. Steiner, Una certa idea d’Europa).

Il paradosso dell’Europa come un mosaico multicolore di “forme di vita” rappresenta la spada di Damocle che pende sul futuro dell’Europa stessa: nella “società liquida” il concetto di “diversità” sta diventando sinonimo di diaspora.

E così Bauman cita Gadamer, il quale vedeva nell’Europa un laboratorio di politica e di etica, nel quale sperimentare il concetto di “diversità”, che rimanda al concetto aristotelico di philia:

Dobbiamo imparare a rispettare l’altro e l’alterità […] Vivere con l’altro, vivere come l’altro dell’altro, è un compito universale e valido nel piccolo come nel grande. Come noi, crescendo ed entrando, come si dice, nella vita, impariamo a vivere insieme all’altro, lo stesso vale anche per i grandi gruppi umani, per i popoli e per gli Stati. Ed è probabilmente un privilegio dell’Europa il fatto di aver saputo e dovuto imparare, più di altri paesi, a convivere con la diversità”
(H. G. Gadamer, L’eredità dell’Europa).

In Europa ‘l’altro’, “the other, is not an abstract word, but a neighbour. Another always lived very close, within sight or within touching … Here ‘Another’ is the closest neighbor”. Il concetto di diversità, infatti, può essere sperimentato nei limiti di uno spazio geografico ridotto: nell’ordine di 20 km l’Europa può dividersi in due mondi completamente differenti.

Il multilinguismo e la prossimità dell’altro fanno dell’Europa un paradigma per il mondo intero, ma questo paradigma deve essere trasformato in una vocazione, non in un museo della diaspora e della dispersione.

Una biblioteca, simile a quella alessandrina, che contenga “precious thoughts and inventions coming from the EU”, sarebbe un buon investimento per l’Europa, conclude Baumann, sarcastico.

Culture in a Liquid Modern World, l’ultimo libro di Bauman, da poco tradotto in inglese e leitmotiv della Presidenza Polacca, è l’altro lato della medaglia di un’Europa che può, anzi, deve essere culturale, o non lo sarà più: “lavoriamo, affermiamo l’occasione che ci è offerta: potrebbe essere l’ultima”. Così diceva Jack Lang.

Fonte: http://www.ccpitaly.beniculturali.it/news.aspx?sez=5&doc=32

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