La crisi del nostro tempo non è come quelle del passato

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Spesso ci si rivolge l’obiezione che questo nostro tempo non sarebbe diverso da tutti gli altri, mentre i nostri Gruppi sottolineano la singolarità e la crucialità della svolta in atto. Vediamo cosa ne pensava uno dei maggiori filosofi cattolici del XX secolo: Jean Guitton.

“Il mondo è sempre in crisi. Il problema di oggi è di sapere se la crisi attuale differisce in intensità o in natura dalle crisi precedenti. Sono portato a pensare che ne differisca in natura. In questo ventesimo secolo dell’era cristiana, che può essere considerato un periodo provvisorio, tutto si muove come se l’umanità si trovasse alla vigilia di conoscere una crisi che non riguarda più questo o quell’incidente, ma l’esistenza dell’umanità in quanto tale. Si tratta anche di una crisi delle idee che finora hanno costituito il tessuto delle civiltà”.

In altri termini: tutte le idee che finora hanno costituito il tessuto di tutte le civiltà umane, tutte le concezioni filosofiche, etiche, politiche, e religiose, che per millenni hanno costituito la trama ideale di tutte le civiltà della terra, sono entrate in un travaglio rigenerativo, dopo il quale l’umanità sarà radicalmente diversa, e speriamo, rinnovata.

Marco Guzzi, filosofo

 

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2 Comments

  1. CUM CLAVIS…
    Le coordinate storiche che stiamo attraversando si intersecano come tra meridiani e paralleli circoscrivendo un’ampia area in cui confluiscono fenomeni, che per la densità della popolazione interessata e per la portata degli eventi, assicurano i riflettori puntati costantemente per monitorare sia l’incremento del fenomeno stesso, sia per cogliere l’imprevedibilità di ogni possibile notizia-scoop. La legenda di cui disponiamo, ci illustra implicazioni storiche, etico-sociali, politiche e sicuramente religiose. Le future previsioni non proiettano dati attendibili, poichè prive di importanti parametri di riferimento per articolare eventuali diagrammi di flusso: le generalità sociali degli individui oggetto di studio e le effettive risorse prestazionali della società attiva…Restano i tradizionali mezzi analitici: l’osservazione critica dei fatti e la compartecipazione al ‘clima’ locale favorendo il noto fenomeno della naturalizzazione, caro agli antropologi di frontiera. L’occhio dell’esperto ci proietta varie realtà: paura, sfiducia, impossibilità di trovare nell’immediatezza una soluzione credibile per la crisi mondiale e per un orientamento delle politiche in chiave garantista, stimolando inevitabilmente, ulteriori scenari di riflessione e accesi dibattiti di confronto. E’ ancora possibile, ci si chede, sostenere la causa del progresso sociale confidando nella coerenza e nella contiguità tra una gamma di valori ispirati ai diritti umani e le conseguenti applicazioni nell’ambito gestionale e amministrativo? Esiste ancora una scala di valori sancita costituzionalmente e riconosciuta dai singoli individui come tale? Si prefigura lo spettro di un’anarchia incostituzionale o troppo spesso le politiche si ammantano di un’idea ponderale di democrazia che s‘incrina forse verso un’inconsapevole ‘autogestione’? Istituire una coscienza collettiva, prefigurando una omologata versione dei fatti è non solo impossibile ma dannosa. Pensare in totale libertà ad una oggettiva verità potrebbe essere costruttivo oltre che legittimo. In un clima a dir poco stratificato, l’incedere di visioni apocalittico-catastrofiche, misterico-profetiche, le corresponsabilità politiche dei sistemi di governo (impegnate a contenere svariate emergenze sociali), lasciano al proprio destino, vecchie carcasse vittime di avvoltoi e mai rimosse…Qual è la preziosa chiave di interpretazione degli eventi? Occorrebbe forse una chiave di volta? In una realtà complessa, agitata da correnti opposte e avverse, avventurarsi lungo rotte inesplorate, non rassicura affatto. Se il timone viene abbandonato prima o poi la nave potrebbe intercettare un pericolo, a volte previsto, segnalato sulle carte, altre volte, no. All’impatto, non tutti potrebbero farcela, o perchè più deboli, o perchè le scialuppe di salvataggio sarebbero fatalmente insufficienti[…]. A a chi dunque, attribuire le responsabilità della tragedia? Alla distrazione momentanea del comandante? Alla casualità o imprevedibilità dell’evento? O allo scarso numero di scialuppe? Nel caso invece, in cui il comandante lasci preventivamente il timone della nave preferendo un rapido ma sicuro ancoraggio poichè, in previsione di un disastro non avrebbe l’abilità di gestire la nave e l’equipaggio, sarebbe da considerarsi prudente? Oppure, in ottemperanza al Codice della Navigazione, dovrebbe comunque lasciare la nave per ultimo salvando se non tutti, almeno l’onore? Il dilemma resta sospeso. Non possediamo il tempo, ma la storia che ne è il frutto, sì. Nell’attesa che nuove chiavi vengano forgiate, fremiamo di intendere le prime righe su pagine calde, appena sfornate, di editoria. Infiliamo le giuste chiavi nella toppa e con coraggio si volti pagina! Inauguriamo un capitolo tutto nuovo.
    Maria Mattea Biscotti

    • ho scritto questi pensieri prima che il nuovo papa Francesco fosse eletto. con il senno di poi e alla luce della fede credo davvero che stiamo vivendo un capitolo nuovo di storia e non solo per la Chiesa. l’analogia della barca e del comandante alludeva al delicato periodo durante il quale i riflettori di tutto il mondo erano puntati sul vaticano. la ‘rinuncia’ di papa Benedetto XVI ha scosso il mondo intero. contestualmente sullo sfondo il mostro gigante della crisi mondiale e la disastrosa situazione politica italiana. la mia personale chiave interpretativa è che la vera crisi è quella dei valori, cui è seguito tutto il resto


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