Rileggere la parabola dei talenti. Il valore di quel singolo talento che vale l’intera esistenza

“Non c’e essere vivente, ricco o povero, cieco, malato o che si senta fallito, al quale Dio non abbia affidato dei doni con cui rendere bella la propria vita, la Chiesa e il mondo. Ma c’è un tempo che ha una scadenza. Gesù ritornerà e quel giorno dovremo rendergli conto di cosa abbiamo con la nostra vita”

Commento al vangelo della XXXIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Ascolta l’audio del Vangelo   QUI.

*

Nella parabola odierna tre amministratori ricevono, ognuno, un capitale diverso da gestire. I primi due amministratori colgono il gesto del padrone come un dono inaspettato. Se ne sentono responsabili. Provano gratitudine per la fiducia accordata e si mettono all’opera per moltiplicare il patrimonio affidato loro.   

Al terzo viene dato un talento. Attenzione, però, a dire un “solo” talento! Un talento valeva 34 kg di argento, ossia 30 anni di paga di un operaio qualificato. In altre parole, la paga di una intera vita lavorativa. Il padrone non ha affidato a quest’ultimo una misera monetina ma un intero patrimonio. Guai a pensare quest’ultimo come un “poveraccio” al quale il padrone ha voluto dare un contentino per non farlo sentire escluso. Era pur sempre un esperto in materia di contabilità.

E, anche se volessimo fare i conti in tasca a Dio, la parabola ci insegna che colui che sembrerebbe aver ricevuto “di meno” rispetto ad altri (sempre secondo i canoni umani) avrebbe, comunque, ricevuto più di quanto potrà gestire anche se vivesse 10 vite, perché la sovrabbondanza di Dio ha un solo limite: la nostra volontà di cooperare con lui. Dio non si lascia vincere in generosità. C’è una grande fiducia di Dio verso di noi, sempre. Siamo noi, forse, che dobbiamo fidarci di più delle nostre capacità e imparare a credere in noi stessi.

L’ultimo amministratore, a quanto pare, questa fiducia in sé stesso non ce l’ha. Ha paura, non vuole mettersi in gioco, non vuole rischiare. Prende il suo “talento” e lo “uccide“, perché gli dà sepoltura. E con la sepoltura del suo talento egli fa una scelta di vivere, ossia vivere come se fosse morto dentro.   

Noi, mentre scorre il tempo, i giorni, gli anni, il tempo delle nostre vite e i secoli, non possiamo giocare con i doni che Dio ci ha dato per vivere una vita senza luce e senza sapore, nell’egoismo e nell’indifferenza. Spendere la vita seminando ovunque i frutti spirituali deli doni che abbiamo ricevuto non solo è il più bel modo di vivere ma è anche l’unico modo di farsi trovare pronti quando faremo il nostro incontro finale col Cristo glorioso.

Ma noi, viviamo la nostra vita aspettando davvero la venuta finale di Cristo? Ci stiamo preparando a questa venuta? Stiamo cercando di cambiare qualcosa attorno a noi in vista della sua venuta? Ci crediamo? Lo attendiamo? O compiamo i nostri doveri minimi senza farci domande e senza guardare ai bisogni attorno a noi?

Print Friendly, PDF & Email

Recommended Posts

Nessun commento pubblicato


Aggiungi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *