Suor Dorothy Stang, prima martire del creato

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Suor Dorothy Stang. Questo il nome della religiosa americana caduta per mano di alcuni sicari nel2005 a Speranza, nel Brasile. Fu uccisa perché proteggeva le popolazioni indigene e le loro terre dalla speculazione selvaggia. Non era un’attivista contro la deforestazione dell’Amazzonia. Era una donna di Dio che si era schierata a favore dei più poveri e dei senza voce, e della terra devastata, anch’essa senza voce contro i giganti della speculazione. E’ stata uccisa. Ma persone come lei fanno capire che l’umanità ha ancora speranza e il futuro appartiene a chi porterà nel cuore l’amore al prossimo. L’amore vince anche se chi ha amato ha perso la vita per amare e per lasciare la sua testimonianza d’amore. (EC)

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Lorenzo Fazzini – Avvenire 16 luglio 2011

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Ora anche la “teologia del creato” – affacciatasi di recente nell’alveo degli studi sacri – ha la sua prima vittima testimoniale, come la definisce Valentino Salvoldi in Prima martire del creato (Paoline, pagine 206, euro 15), ricostruzione per metà biografica per metà riflessiva della vicenda di suor Dorothy Stang. Questo il nome della religiosa americana – avrebbe compiuto 80 anni il giugno scorso – caduta per mano di alcuni sicari (pagati da alcuni latifondisti) il 12 febbraio 2005 a Speranza, nello Stato del Parà, Brasile profondo.

Una location drammaticamente predefinita per questo omicidio “nobile”, che ha riacceso i riflettori sulla piaga della deforestazione in Amazzonia, soprattutto per i suoi nocivi effetti rispetto alle popolazioni indigene. Ancor oggi il vescovo di Xingú, dom Erwin Krautler (di cui suor Stang fu amica e collaboratrice), vive sotto scorta per la sua opposizione a progetti di sfruttamento ambientale. Il Parà, regione dove operò la suora Usa – evidenzia Salvoldi – è riconosciuto come uno degli Stati brasiliani dove maggiormente regna la violenza contro i contadini indifesi e l’impunità degli assalitori: il 40% dei 1237 omicidi di lavoratori rurali in Brasile tra il 1985 e il 2001 si è verificato in questa zona; di questi 521 assassini, solo 13 hanno avuto un responsabile condannato in tribunale.

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Suor Stang presentiva il suo martirio. Furono diversi gli avvertimenti che negli anni costellarono la sua azione a difesa dei contadini minacciati dai fazendeiros, bramosi di impossessarsi della terra. La prima minaccia risale addirittura al 5 agosto 1970: suor Dorothy lavorava a Coroatà quando un commando di uomini armati fece irruzione nel centro parrocchiale minacciando le suore che qui riunivano la gente per educarla ai propri diritti. Nel novembre 1987, in una lettera, percepisce un presentimento interiore: «La nostra situazione qui peggiora di giorno in giorno: i ricchi moltiplicano i loro piani per sterminare i poveri, riducendoli alla fame. Ma Dio è buono con il suo popolo».

E nel 2002 manda un messaggio esplicito ai suoi amici, dopochè il sindaco di Anapu, sua ultima destinazione missionaria, se n’era uscito con un secco «dobbiamo sbarazzarci di questa donna se vogliamo vivere in pace»: «So che vogliono ammazzarmi, ma io non me ne vado. Il mio posto è qui con questa gente che è continuamente umiliata da quanti si ritengono potenti». Ultimo, profetico segnale: nel 2004 – l’anno prima di venir uccisa – suor Dorothy viene insignita con la “Medaglia di Chico Mendes” da parte dell’Organizzazione brasiliana degli avvocati per i diritti umani. Quasi a riconoscerla erede – e tragicamente fu proprio così – del sindacalista, difensore degli ultimi, assassinato nel 1988.

Ma dunque perché considerare “martire” questa suora americana, nata in un’altra epoca (due figli in seminario, tre sorelle in convento), risvegliata alla missione da una famiglia profondamente cattolica (voleva andare in Cina a portare in Vangelo), inizialmente impegnata come professoressa a Phoenix (che contrasto tra la suora con il velo e il vestito religioso dei tempi americani, e l’agguerrita combattente in t-shirt e pantaloni in Amazzonia …)?

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Tutto sta in quella frase che Dorothy pronuncia a Ivan, un contadino che la stava accompagnando all’incontro con il suo destino, a Speranza, quel febbraio di 6 anni fa. Parole che, provvidenzialmente, si sovrappongono a quelle di un altro grande testimone della fede, Massimiliano Kolbe, il martire di Auschwitz. Scandì la religiosa d’Amazzonia: «Se oggi qualcosa di grave deve capitare, capiti a me e non agli altri che hanno una famiglia».

In una lettera che Salvoldi acclude nel suo volume (su suor Stang si può anche leggere Martire dell’Amazzonia, Emi), si condensa il lascito, umano e cristiano, di questa testimone di Dio e dell’uomo in una terra violenta e sfregiata: «Abbiamo bisogno, ora più di prima, di solidarietà, di compassione, di spirito comunitario tra di noi, in modo da non abbandonare l’ideale nutrito all’inizio per il nostro popolo: il popolo del regno di Dio qui sulla terra». Così la figura di suor Stang risulta riscattata da quell’immagine appiattente di una donna meramente ecologista, e nient’altro. «La nostra missione di stare con il popolo – in occasione dei 50° di professione religiosa – rende adesso urgente la sfida di vivere il Vangelo e di entrare nel terzo millennio con un progetto di una società alternativa, capace di donare vita».

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(in questa foto, il corpo di Sr. Dorothy Stang, trovato il 12 febbraio 2006)

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