Firmato da Papa Francesco il decreto sulle virtù eroiche dell’imprenditore milanese che negli anni Sessanta vendette la sua azienda per andare a vivere tra i lebbrosi in Amazzonia
GIORGIO BERNARDELLI
Vatican Insider 9/07/2014
Un imprenditore alla guida di un’impresa florida, che a un certo punto decide di lasciare tutto per mettersi lui stesso, in prima persona, al servizio dei lebbrosi sul Rio delle Amazzoni. È il profilo di Marcello Candia, laico milanese e icona del mondo missionario italiano degli anni Settanta, di cui questa mattina Papa Francesco ha firmato il decreto che riconosce le virtù eroiche. Diventa così venerabile, compiendo il primo importante passo verso la beatificazione. Era nato nel 1916 a Portici, Marcello Candia, in una famiglia dell’alta borghesia milanese: suo padre, il dottor Camillo Candia, era il fondatore della «Fabbrica italiana di acido carbonico dottor Candia & C».
E proprio in quella fabbrica lombarda il giovane Marcello era cresciuto, fino a prenderne il timone dimostrando notevoli capacità imprenditoriali. Ma il successo non gli impedì mai di vedere i bisogni dei poveri: «Io ho ricevuto molto – annotava giovanissimo sul suo diario -, chi ha ricevuto molto deve dare molto». E in questo «dare molto» ci fu fin dall’inizio anche la missione, che aveva scoperto nel 1937, durante una crociera in Brasile. Nella Milano del secondo dopoguerra il dottor Candia fu in prima fila nel sostenere i bisogni degli ultimi, in particolare quelli degli orfani di guerra; ma si fece promotore anche di realtà al servizio dei poveri dei Paesi lontani. A poco a poco – però – in lui cominciò a farsi strada l’idea che il sostegno economico alle missioni non bastasse più: doveva partire anche lui per andare ad aiutare chi aveva più bisogno. Decisivo fu un nuovo viaggio in Brasile, compiuto nel 1957, durante il quale avvenne l’incontro con mons.
Aristide Pirovano, missionario del Pime, vescovo nella prelatura di Macapà in Amazzonia. Fu lì che Candia diede forma alla sua idea: avrebbe venduto tutto per costruire là un grande ospedale. E poi sarebbe andato a vivere anche lui lì, in mezzo ai poveri. La costruzione dell’ospedale a Macapà iniziò nel 1961, ma lui poté arrivarci solo nel giugno 1965; da bravo imprenditore – infatti – si preoccupò prima di sistemare tutti i lavoratori delle sue aziende. Non voleva, però, che l’ospedale fosse considerata la sua nuova impresa: così nel 1975 lo cedette ai Camilliani della provincia del Brasile, affidando interamente a loro la responsabilità della gestione. Lui intanto si era spostato tra i lebbrosi a Marituba, l’«anticamera dell’inferno» che aveva scoperto attraverso i malati di lebbra che arrivavano all’ospedale. Così mobilitò di nuovo i suoi tanti amici in Italia (compresi molti suoi ex operai) per costruire il lebbrosario. E proprio qui nel 1980 ebbe la gioia di accogliere in visita Giovanni Paolo II.
Rientrò in Italia ormai gravemente malato poche settimane prima di morire, il 31 agosto 1983. A padre Piero Gheddo – missionario del Pime, grande amico di Candia e suo biografo – Adalucio Calado, il presidente dei lebbrosi di Marituba, descrisse così l’ex imprenditore milanese in un’intervista: «Il dottor Candia non solo ci ha aiutati economicamente e con le opere sanitarie e sociali, ma ci ha voluto bene: in lui vedevamo l’amore di Dio anche per noi lebbrosi, rifiutati da tutti. Lo ricordiamo ancora come un santo, perché faceva tutto per amore di Dio. Lui ricco, colto e importante nel mondo, veniva a spendere la sua vita tra noi che non potevamo dargli nulla in cambio. E pensavamo: se lui è un uomo così buono, quanto più buono dev’essere Dio che ce l’ha mandato».
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Marcello Candia, l’industriale per i poveri
Dal Blog di Piero Gheddo 15 luglio 2014
L’8 luglio 2014, la Congregazione dei Santi ha promulgato il decreto sul riconoscimento delle virtù eroiche del servo di Dio dott. Marcello Candia, missionario laico in Amazzonia brasiliana dal 1965 al 1983, dove ha speso la sua vita di volontario fra i poveri e i lebbrosi e tutte le sue sostanze. Marcello Candia (1916-1983), figlio di un industriale milanese, nato a Portici (Napoli), eredita dal padre la fabbrica di acido carbonico la dirige per 18 anni con successo, fondando tre nuovi stabilimenti. Ma Dio lo chiamava ad essere “l’industriale della carità”. Fin da giovane studente (tre lauree in chimica, biologia e farmacologia), divideva il suo tempo fra l’industria paterna e le opere di carità nella sua Milano: il “Villaggio della madre e del fanciullo”, l’assistenza ai profughi dai campi di concentramento tedeschi, un dispensario medico gratuito per i poveri, l’aiuto ai baraccati delle periferie milanesi (dove da adolescente mamma Luigia portava i cinque figli alla domenica pomeriggio), il “Collegio degli studenti d’Oltremare” voluto dal Card. Montini.
Non si era sposato per fare opere di bene e sentiva profondamente anche la chiamata alle missioni. Fonda la scuola di medicina per missionari (all”Università di Milano) e sostiene i primi organismi di laicato missionario in Italia. Nel 1949 incontra mons. Aristide Pirovano, missionario del Pime e fondatore della diocesi di Macapà alle foci del Rio delle Amazzoni, che lo invita ad andare con lui per fondare un ospedale per i poveri. Marcello va in Amazzonia e si appassiona di quel popolo, ma solo nel 1964, a 49 anni, riesce a vendere la sua fiorente industria e va a Macapà con i missionari del Pime, donandosi totalmente a quella missione. La sua vita, nei 19 anni di Amazzonia (muore nel 1983 di cancro al fegato, è tutta una corsa contro il tempo per realizzare e finanziare molte opere di bene: l’ospedale di Macapà, allora il più grande e moderno dell’Amazzonia brasiliana, il rifacimento del lebbrosario di Marituba (con 2000 lebbrosi), nella foresta presso Belem, centri sociali e casette per i poveri, scuola per infermiere, aiuti a tutte le missioni del Brasile povero che ricorrevano a lui.
All’inizio, in Amazzonia aveva più d’un miliardo di lire (del 1964), spende tutto e incominciano ad arrivargli le offerte dei suoi ex-dipendenti, di molti amici e di tanti altri che venivano a conoscenza della sua avventura. Marcello mandava foto e lettere e tornava un mese l’anno in Italia per rispondere a inviti di conferenze e interviste. Avendo venduto anche la sua casa a Milano, in Italia era ospite del Pime, che gli organizzava gli incontri e le interviste a giornali, radio e televisioni.
Dove sta la grandezza di questo “santo” del nostro tempo, modello per i laici missionari? Nella sua profonda vita di fede e di pietà e nella sua carità. Si definiva “un semplice battezzato”: non apparteneva ad alcuna associazione o movimento ecclesiale; un uomo libero, con una spiritualità profonda ma elementare, che s’è santificato con le preghiere del “Manuale del buon cristiano”. Era il santo della carità, il santo della Croce e il santo della gioia. In quel tempo di dittatura in Brasile, i militari sospettavano di questo riccone che va a spendere i suoi soldi in una regione ai confini del Paese e vive poveramente. Lo sorvegliavano, ostacolavano, umiliavano e lui sopportava con pazienza. Il governatore militare di Macapà dice al vescovo mons. Giuseppe Maritano: “”Mi spieghi lei questo mistero. Vedo che il dottor Candia s’interessa solo dell’ospedale e spende tutto quel che ha per i poveri.. Però, quando gli parlo mi sembra una persona normale”. Mons. Maritano ha testimoniato: “Voleva che l’ospedale fosse per i poveri, perchè questo era l’unico scopo per il quale l’aveva costruito. Diceva: ‘Se c’è un malato povero e uno ricco, prima ospitiamo il povero e poi, se c’è posto, il ricco, che può rivolgersi all’ospedale governativo. Io voglio un ospedale missionario per i poveri e quindi dev’essere per forza passivo. Se è in attivo vuol dire che non è più missionario e per i poveri’. Marcello pagava tutte le spese e i passivi”.
Il mistero della sua vita sta tutto nella sua preghiera. Pregava molto, una preghiera semplice e continua, aveva sempre il pensiero rivolto a Dio e ha portato in Brasile le Carmelitane di Firenze, costruendo due loro conventi, perché diceva: “La preghiera è il carburante delle opere di bene”.
Ho accompagnato Marcello nella visita a diversi lebbrosi. Si inginocchiava vicino al letto, baciava quei malati e mi diceva: “In ogni malato c’è Gesù”. Faceva una vita di grandi rinunzie e sofferenze, anche per visitare le sue opere in tutti il Brasile dei poveri (quando è morto finanziava 14 opere da lui fondate). In Brasile ha avuto cinque infarti e un’operazione al cuore, non avrebbe dovuto tornare in Amazzonia, ma lui è stato fedele alla chiamata di Dio.
Nel 1975 il presidente del Brasile dà a Marcello Candia l’onorificenza più importante del paese “Cruzeiro do Sul” e il più importante settimanale illustrato brasiliano, “Manchete” di Rio de Janeiro, gli dedicò un articolo intitolato: “L’uomo più buono del Brasile”, che incominciava con queste parole: “Il nostro Paese è terra di conquista per finanzieri e industriali italiani. Molti vengono da noi ad impegnare i loro capitali allo scopo di guadagnarne altri. Marcello Candia, ricco industriale milanese, vive in Amazzonia da dieci anni, vi ha speso tutte le sue sostanze, con uno scopo ben diverso: aiutare gli indios, i caboclos, i lebbrosi, i poveri. L’abbiamo eletto l’uomo più buono del Brasile per l’anno 1975″.
Nel 1982, un anno prima di morire, Marcello ha istituito la Fondazione Candia per continuare a mantenere le opere da lui fondate; oggi la Fondazione finanzia più opere di quante ne ha lasciate Marcello. Indirizzo: Fondazione dott. Marcello Candia – Via P. Colletta, 21, 20135 Milano, tel. 02.546.37.89. Chiedere DVD e filmati, immaginette e il bollettino “Lettera agli Amici di Marcello Candia”.
Per conoscere Marcello Candia: P. Gheddo, “Marcello dei lebbrosi”, la biografia che è un romanzo d’avventure e le sue “Lettere dall’Amazzonia”, una lettura appassionante e commovente. Chiedere questi libri a P. Piero Gheddo, Pime, Via Monterosa,81 – 20149 Milano – Tel. 02.43.82.04.18.
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