E’ un vero progetto che mira a ridefinire le stesse fondamenta di ciò che significa essere “persone” e “umanità”… un progetto per un’altra società, molto lontana e diversa da quella che conosciamo. E.C.
Gender: una parola, sei lettere, una rivoluzione. La teoria messa a punto dal dr. John Money ha scosso le fondamenta scientifiche, morali e psicologiche del pensiero umano sulla sessualità. Dopo anni di ricerche ha ipotizzato che ogni individuo possa definire la propria identità di genere in base al contesto socio-culturale e non più secondo una realtà biologica; le persone – sempre secondo questa dottrina – potranno stabilire il proprio sesso con la stessa facilità con cui si sceglie un vestito da indossare. Tutto ciò senza però considerare che psiche e corpo non sono separate tra loro, ma vivono in una comunione che se interrotta può rivelarsi drammatica.
Il problema è che questi studi non sono rimasti tali ma si sono concretizzati in un vero progetto educativo. Mimetizzandosi dietro i termini burocratici di un atto amministrativo, la teoria gender è arrivata tra i banchi di scuola scatenando una guerra mediatica e dividendo il Paese tra sostenitori, oppositori e chi ne nega l’esistenza. La novità è che non solo genitori ed insegnanti hanno urlato il loro disappunto, ora anche il mondo della scienza scende in campo; uno schiaffo a chi pensa che quella del gender sia una battaglia portata avanti solo da una Chiesa bigotta. E’ il caso di 18 psicologi delle Marche che si sono ribellati all’Ordine regionale e a quanto dichiarato dal loro presidente, Luca Pierucci. Quest’ultimo ha detto molto chiaramente: “Non esiste l’ideologia del gender” e criticando quanti scesi in piazza San Giovanni a Roma il 20 giugno scorso, ha ammonito: “Non si possono e non si debbono utilizzare e distorcere informazioni basate su ricerche e studi scientifici a fini propagandistici e confusivi”.
Per questo motivo il gruppo di professionisti ha redatto una nota in cui prende le distanze dalle affermazioni di Pierucci, il quale oltretutto ha spiegato che l’Ordine continuerà a promuovere le iniziative sul tema. Tra i primi firmatari del documento compare il nome di Paolo Scapellato, psicologo e psicoterapeuta maceratese e docente di Psicologia Clinica presso l’Università Europea di Roma. La prima importante chiarificazione da fare è se il gender sia una teoria o un’ideologia: “Una teoria – dice il dott. Scapellato – è un sistema di conoscenze riguardanti un aspetto particolare dell’esistenza che ne spiega la natura e i contorni; in genere una teoria si basa su assiomi di partenza e la sua forza dipende proprio dal grado di dimostrabilità di questi assiomi. Un’ideologia invece è una visione generale di temi più o meno specifici che in genere si basa più su aspettative culturali relative che su una ricerca scientifica”.
“Il gender ha quindi uno sfondo teorico costituito dagli ‘studi di genere’, e uno sviluppo ideologico”. E’ proprio a quest’ultimo che appartengono i famosi progetti di ‘educazione sessuale’ arrivati nelle scuole italiane, i quali trovano supporto in un documento sottoscritto dall’ufficio europeo dell’OMS dal titolo ‘Standard per l’educazione sessuale in Europa’. Il problema principale è che dietro ad alcuni condivisibili fini, come la lotta alle discriminazioni e agli atteggiamenti cosiddetti omofobici, possano nascondersi altri obiettivi non dichiarati, oltretutto non in linea con la letteratura scientifica dell’ultimo secolo. “Ad esempio – spiega Scapellato – la psicologia dello sviluppo e la psicologia clinica hanno dato sempre risalto all’immaturità affettiva e sessuale dei bambini, i quali, non avendo ancora categorie mentali ed esperienziali tipiche della sessualità adulta, possono subire traumi psichici importanti se esposti a stimoli sessualmente espliciti (su questo principio si basano tutte le leggi contro la pedofilia). Nel documento dell’OMS c’è scritto invece che i bambini, già a 4 anni, sono consapevoli dei propri desideri e bisogni, che vanno quindi esplorati. Ovviamente questo principio può essere interpretato in molti modi, ma i suggerimenti pratici che vengono forniti lasciano pochi dubbi: al bambino va presentata la sessualità in tutta la sua ‘adultità’, prevedendo lezioni sui rapporti omosessuali e transessuali, aborto, metodi di produzione della vita alternativi ecc. progressivamente dai 4 ai 12 anni”.
Infine c’è da considerare ancora un importante aspetto, ovvero “il tentativo di livellare l’insegnamento della sessualità non tenendo conto dei diversi tempi di sviluppo dei bambini”. Anticipando tematiche che non sono fonte di domande per i bimbi ci si imbatte nella separazione tra affettività e sessualità, enfatizzando così il rapporto fisico a discapito dello sviluppo dei sentimenti.
Diverse associazioni in questi mesi si sono mosse per scongiurare un possibile inserimento di alcune linee guida del gender nella riforma della “Buona Scuola” da poco approvata in Parlamento. Un’eventualità smentita seccamente, giusto ieri, dal ministro Stefania Giannini. “Chi ha parlato e continua a parlare di `teoria gender´ in relazione al progetto educativo del governo Renzi sulla scuola – ha spiegato durante la trasmissione “Melog”- compie una truffa culturale e voglio dire con chiarezza: noi ci tuteleremo con gli strumenti adeguati”. Pronta è arrivata la replica da parte di La Manif Pour Tous Italia. “Per restare liberi di educare i nostri figli quest’anno ogni scuola sarà una trincea” ha affermato in una nota Filippo Savarese, portavoce dell’associazione, tra le organizzatrici del Family Day del 20 giugno. “Le minacce del Ministro Giannini sono di una gravità inaudita: il Governo minaccia i cittadini che criticano le sue leggi, e accusa di psicosi collettiva il milione di persone sceso in piazza a Roma il 20 giugno – ha proseguito il comunicato -. La riforma della scuola rinforza la presenza di attività ideologiche sull’identità di genere nei Piani dell’Offerta Formativa, stiamo organizzando una rete nazionale anti-Gender che collegherà tutto il territorio, coinvolgendo migliaia di famiglie. Saremo pronti a difendere i nostri diritti in tutti i Tribunali d’Italia e di nuovo in piazza se sarà necessario, come sembra essere”. E in effetti stupisce che un ministro intervenga in modo così duro, non tenendo conto delle legittime preoccupazioni di esperti e genitori. I quali temono che le giuste misure anti omofobia non abbiano confini definiti, consentendo la diffusione di metodi d’insegnamento in linea con il gender. Non dimentichiamo che in questa partita ci giochiamo il futuro dei nostri figli, il quali rischiano di essere coinvolti, loro malgrado, in un progetto ideologico che potrebbe distruggere ogni diversità, col rischio di cancellare la stessa identità dell’uomo.
In questo dossier riportiamo una selezione dei principali progetti e iniziative, applicati nelle scuole italiane o comunque rivolti a studenti o docenti, che si ispirano alla teoria di genere, prodotto dei “gender studies”, o/e alle teorie omosessualiste delle associazioni LGBT. Queste teorie hanno infatti principi e conseguenze comuni e nella pratica spesso si presentano assieme. Il dossier riguarda principalmente gli anni 2014 – 2015 e non pretende di dare un elenco completo. Sono stati inclusi solo i progetti e le iniziative la cui applicazione poteva essere precisamente determinata quanto a data, luogo e contenuti. Spesso il progetto esaminato non si riferisce solo a un singolo “caso”, in quanto un progetto è suscettibile di applicazione in più istituti scolastici e in alcuni casi si tratta di progetti che hanno coinvolto gran parte del corpo docente, o molteplici scuole, di intere Regioni o Province. I progetti e le iniziative di questo tipo, con il pretesto di educare all’uguaglianza e di combattere le discriminazioni, il bullismo, la violenza di genere o i cattivi stereotipi, spesso promuovono: l’equiparazione di ogni orientamento sessuale e di ogni tipo di “famiglia”; la prevalenza dell’ “identità di genere” sul sesso biologico; la decostruzione di ogni comportamento o ruolo tipicamente maschile o femminile insinuando che si tratterebbe sempre di arbitrarie imposizioni culturali; la sessualizzazione precoce dei giovani e dei bambini.
Clicca qui per accedere al dossier e conoscere i progetti:
In questi ultimi giorni, anche in alcuni ambienti cattolici, si sta diffondendo una posizione più “benevola” verso le opportunità di discussione e progettualità contenute nella proposta di Legge Cirinnà. I sostenitori di questa posizione parlano di “allarmismo” e di “fondamentalismo” rivolti a coloro che stanno prendendo posizioni forti contro l’argomento.
La contraddizione di questa posizione “cattolico-moderata” sta nel fatto che essa non è “moderata”, ma compromissoria. Certo che lo Stato deve dare un regolamento alle unioni civili e garantire i diritti di tutti i suoi cittadini, anche a chi vive l’omosessualità. D’altra parte, Stato e Chiesa hanno funzioni diverse. Lo Stato non è la longa manus della Chiesa quando si tratta di legiferare in materia di valori morali. Ma accusare di fondamentalismo chi si sente minacciato dalla proposta di legge Cirinnà e sente il bisogno di proteggere un assetto umano e sociale che – tradizionale o non – appare, agli occhi di chi ci crede – l’unico in grado di proteggere la vita delle generazioni che verranno, sembra una vera manipolazione politico-ideologica.
Sembra chiaro che dietro il DDL Cirinnà non vi sia il mero desiderio di regolare le unioni civili. Sembra, invece che vi è un vero progetto che mira a ridefinire le stesse fondamenta di ciò che significa essere “persone” e “umanità”… un progetto per un’altra società, molto lontana e diversa da quella che conosciamo. Qui non si sta legiferando sul codice stradale o sulla sanità. Ma sulla natura dell’essere umano. La domanda è: quale parlamento ha il diritto di ridefinire, per vie di decreti legge, a colpi di maggioranza e per contrapposizioni politico-ideologiche, una visione del mondo e la concezione stessa di “persona”? Se il DDL volesse veramente regolare le unioni civili, lo faccia e si fermi lì. Ma il cancello di fuoco che si apre una volta dovesse essere approvato in via definitiva il DDL, porterà ad uno stravolgimento della vita di milioni di persone. E non in meglio. Gli uteri in affitto, per fare un esempio, sono un abominio contro la dignità stessa della vita.
Non credo che il DDL Cirinnà abbia come fine regolamentare le unioni civili. Se dovesse passare, credo che sarebbe una delle leggi più tragiche mai concepite dalla Repubblica, e che non rispetta la visione della maggioranza della società. La legge evidenzierebbe la frattura profonda fra politica e società reale, più che in qualsiasi altro dibatto in atto. Credo che il DDL, se non lo è già in origine, diventerà strumento di lobby potenti che non hanno nessun interesse né per la famiglia tradizionale né per le unioni civili, ma solo per gli interessi economici che stanno dietro la creazione di un nuovo ordine sociale che non protegge più la famiglia tradizionale. L’economia che si creerebbe attorno alla maternità surrogata e agli uteri in affitto, sulla genitorialità “pianificata” (vedi lo scandalo venuto alla luce, negli USA, della corporazione della compravendita di pezzi di feti abortiti “Planned Parenthood) produrrebbe profitti enormi per che ne controllerebbe l’industria. Non è la società che vuole tutto questo. E’ chi governa il sistema economico mondiale che vuole aprire nuovi mercati e campi di profitto.
Quanto a coloro che vivono l’omosessualità, credo che la posizione di ognuno, compreso e soprattutto i cattolici, debba essere anzsitutto di rispetto. Si può rimanere perplessi o in dissenso. La coscienza di un credente può impedirgli di legittimare la presunta “naturalezza” della condizione omosessuale. Ognuno trova il suo modo per cercare di capire la questione. Come e perché una persona nasca – o diventi – gay sfugge alla mia comprensione. Non sono uno scienziato del genoma umano né un sociologo. Nessuno ha il diritto di giudicare ciò che alberga nel più profondo della coscienza di un altro. Meno che mai di condannare. La carità è la virtù cristiana che ci ricorda che tutti gli esseri umani sono amati da Dio con uguale amore e che nessuno è amato di più perché più “giusto” di un altro. Questa stessa concezione delle cose davanti a Dio si frantuma, perché la grandezza dell’Amore di Dio è talmente infinita da polverizzare ogni pretesa di giustizia da parte di chiunque, al cospetto di Dio. Omosessuale o no, in forza del comandamento supremo dell’Amore, tutti sono nostri fratelli e sorelle e tutti siamo membri dell’unica famiglia umana, con un unico Dio che è Padre di tutti. Di tutti. L’omosessuale, dunque, è nostro fratello. Amarlo non è un atto di gentile concessione, come un atto di benevolenza liberale da parte di chi lo fa. E’ volontà di Dio.
Il DDL Cirinnà, svelato e scomposto nei suoi singoli elementi, non ha a che fare con l’omosessualità. E’ un cavallo di troia per introdurre la dittatura totalitaria dell’ideologia gender, che ben altra cosa è rispetto all’omosessualità. L’ideologia si deve respingere, perché è solo il veicolo di interessi che non hanno a cuore nessuno, né i gay né le famiglie tradizionali ma solo quelli delle multinazionali.
Il cristianesimo cattolico è portatore di una visione della persona umana e chi la professa non lo fa solo per obbedienza ad un dogma. E’ veramente difficile capire perché un cattolico preoccupato dall’espansione dell’ideologia gender debba essere accusato di fondamentalismo, quando nei vari Gay Pride che annualmente hanno luogo in ogni capitale d’Europa, si assistono a scene di volgarità che sconfinano nella pornografia. Mi chiedo, quanti omosessuali approvano tali dimostrazioni oscene a fronte di quanti cercano di vivere la loro vita nel quadro di una normalità, integrati nella società. Davanti a queste visioni oscene del Gay Pride, e di ciò che rappresentano, capisco e sostengo tutte le ragioni delle manifestazioni dei movimenti cattolici e di quanti – anche non cattolici – temono per il futuro. Il Family Day è, dunque, una manifestazione che ha pieno diritto di esistere.
Il vero cristiano non è omofobo. Chi crede nella famiglia tradizionale non è omofobo. L’omofobia, a volte, è una invenzione per demonizzare chi non p disposto a sottomettersi alla dittatura totalitaria dell’ideologia gender
A questo proposito, vale la pena fare un confronto. La legge 184 sull’aborto non fu mai presentata come “Legge sull’aborto”, ma come il suo contrario. La legge, tecnicamente, è fatta bene. Offre la possibilità di strumenti per chi si trova nella difficoltà di portare avanti una gravidanza. Si sarebbero dovute mettere a disposizione delle persone in difficoltà questi strumenti per aiutarli ad affrontare i loro problemi e sostenerli e, solo in caso di impossibilità, o di volontà reiterata, la legge concedeva la possibilità dell’aborto.
A ragione, la legge, ora, è chiamata Legge sull’aborto perché il vero risultato che si è ottenuto è far passare una legge che non ha implementato, in modo serio, gli strumenti che offriva, mentre apriva i cancelli a milioni di aborti, compiuti senza alcuna proposta di aiuto alle donne in difficoltà. E’ più lucroso il business degli aborti che quello dell’educazione e dell’assistenza.
Per questo motivo, facendo i dovuti distinguo circa il confronto fatto con la legge 184, rimango convinto che la Legge Cirinnà opera sullo stesso livello di strategia. Non si tratta, in ultimo, di uno strumento sano per l’educazione alla sessualità dei nostri bambini, ma, ripeto, di un cavallo di Troia che apre le porte a un fiume di altre leggi e provvedimenti che spazzeranno via il potere dei genitori di controllare e orientare l’educazione globale dei loro figli, compresa l’educazione alla sessualità. Quando il diritto a questa educazione è sottratta per legge, alla famiglia e assunta dal potere costituito per via di leggi e decreti, non siamo più in democrazia, ma sotto dittatura.
E’ giusto che lo stato regolamenti pure le unioni civili, se è giunto il tempo di farlo, ma i cristiani hanno il diritto di opporsi alla totale equiparazione delle unioni civili con il matrimonio e all’ideologia gender.
La pubblicazione, su questo blog, vuole essere un sostegno alla diffusione del frutto di lavoro di coloro che lavorano per Pro Vita.
Come da copione, il Parlamento europeo ha approvato il rapporto Rodrigues, intriso di ideologia gender.
esso chiede agli Stati membri ( e però non ha alcuna forza obbligatoria o vincolante) che “le misure sulla parità di genere” siano “applicate a tutti i livelli del sistema di istruzione, includendo la promozione e la formazione degli insegnanti, in modo da porre fine agli stereotipi di genere e contribuire a colmare il divario tra la formazione delle donne e il loro sviluppo professionale”.
Come abbiamo già detto qui, e poi qui, dietro lo ”Empowering Girls through Education in the EU” (Crescita, realizzazione, delle ragazze attraverso l’educazione nell’UE), la Liliana Rodrigues, membro del Partito Socialista portoghese, punta a far insegnare i soliti principi cari all’ideologia gender in tutte le scuole europee. Anche questo (come il ddl Fedeli) chiede che i testi scolastici siano adeguati alla concezione di uomo-donna-sesso-genere che va tanto di moda, ma che crea confusione nei bambini e nei ragazzi. Anche questo rapporto prevarica il diritto-dovere dei genitori di educare i figli alla morale sessuale naturale. In pratica obbliga genitori ed educatori a rinunciare alla propria libertà di opinione e religiosa, ove non conforme all’ideologia del gender. Quindi contrasta con le norme internazionali che conferiscono per primi ai genitori il diritto ad educare i figli ( Dichiarazione dei diritti dell’uomo dell’ONU, Convenzione sui diritti dei bambini, Convenzione europea sui diritti umani e la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici).
Per di più, il rapporto Rodrigues viola il principio di sussidiarietà su cui si fonda l’UE e su cui si fonda qualsiasi Stato voglia essere davvero democratico: l’ente maggiore (lo Stato, o l’UE), deve rispettare l’autonomia degli enti minori (le famiglie, o i singoli Stati membri). In particolare il Trattato di Lisbona all’art. 5 dice chiaramente che l’educazione non è competenza comunitaria.
La risoluzione è stata adottata con 408 voti a favore, 236 contrari e 40 astensioni.
In mezzo a tante chiacchiere che insistono sulla parità uomo donna, ma ignorano le naturali diversità tra uomo e donna, il rapporto – secondo la massima che lo riassume sul sito ufficiale del Parlamento UE –promuove l’educazione sessuale fin dalle scuole elementari e invita a “combattere la discriminazione basata sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, e i deputati invitano la Commissione a sostenere l’inserimento di informazioni obiettive sulle questioni relative alle persone LGBTI nei programmi scolastici, per combattere la violenza e la discriminazione di genere, le molestie, l’omofobia e la transfobia, in tutte le loro forme, comprese le forme di cyber-bullismo o molestie online”.
Se così fosse, se si dovesse fornire informazione obiettiva, bisognerebbe spiegare che l’omosessualità non è naturale… figuriamoci.
DIFENDIAMO I BAMBINI E LA FAMIGLIA DALLA LEGGE CIRINNA’
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Siamo all’alba dell’agenda gay, nel 1989: si dettano le linee da seguire, le strategie e gli approcci per veicolare il più possibile le buone prassi di una politica GLBT per creare scientificamente una società da laboratorio gay friendly.
l matrimonio gay? «È l’idea più inverosimile che sia mai stata estratta dal cilindro» per «dare inizio all’avanzata del totalitarismo». A parlare così alla Marcia per la famiglia, che ha sfilato lo scorso 19 giugno a Washington, è stato Doug Mainwaring (foto a sinistra), noto attivista omosessuale dei Tea Party convinto che «non c’è bisogno di usare argomentazioni religiose» per opporsi ai matrimoni gay: «Basta la legge naturale, anche se le persone oggi la mettono da parte».
TOTALITARISMO ALLA MOZILLA. Che i figli nascono dall’unione di un uomo e una donna, per Mainwaring, è un’evidenza come lo era fino a dieci anni fa anche «per la comunità gay, ci scherzavano su così: “Questo è mio marito ah ah”». Poi però «i gay e le lesbiche sono stati usati come pedine dai progressisti per dare inizio all’avanzata progressiva del totalitarismo». Quando parla di “totalitarismo”, Mainwaring si riferisce al famoso caso Eich, l’ex ad di Mozilla costretto a dimettersi perché contrario alle nozze gay. In quel caso è stato inviato un messaggio preciso a tutti: «Sta per accadere anche a te. È meglio che tu faccia attenzione». E questo alimenta «l’autocensura» sui temi sensibili, che porta a «dare l’impressione che siamo tutti d’accordo. Chi tace acconsente». Anche per questo, i giudici di mezza America in barba ai Parlamenti stanno legalizzando nei diversi Stati le nozze gay, conseguenza di «strategie di marketing intelligenti» prodotte «con cura artigianale da parte dei gruppi di interesse».
UN’ALZATA DI SPALLE. L’attivista dei Tea Party aveva già parlato di questo tema citando alcune parti del libro degli attivisti gay Marshall Kirk e Hunter Madsen After the Ball (sottotitolato Come l’America vincerà la sua paura e l’odio dei gay negli anni ’90), pubblicato nel 1989, in cui «viene presentato un piano globale per rendere normale il fatto di essere gay e lesbiche». «La strategia artificiosa di marketing di Kirk e Madsen è un successo clamoroso. In molti modi, quello che ora vediamo verificarsi è attribuibile alla loro preveggenza». Basterebbe leggere brani come questo: «Abbiamo in mente una strategia (…) congegnata e potente (…), manipolativa. Non bisogna tentare di convincere la gente direttamente che l’omosessualità sia una cosa buona. Ma se riuscite a far pensare che sia solo qualcosa che non merita altro che un’alzata di spalle, allora la vostra battaglia per i diritti giuridici e sociali è praticamente vinta».
VINCERE GRAZIE ALLA NOIA. Perché? «La discussione – continuano gli autori – libera e frequente sui diritti dei gay (…) dà l’impressione che l’omosessualità sia un luogo comune (…), dove i più moderni e “aggiornati” cittadini accettano o addirittura praticano l’omosessualità (…). La cosa più importante è parlare di omosessualità fino a quando la questione diventa completamente noiosa». E come minare la coscienza e l’autorità della Chiesa? Mainwaring ha citato questo passaggio: «Devono essere rappresentati come istituzioni e figure retrograde e antiquate non al passo con i tempi e con le più recenti scoperte della psicologia. In America contro le chiese [questo metodo] ha già funzionato bene per quanto riguarda i temi come il divorzio e l’aborto».
I gay devono poi essere dipinti come «vittime della circostanza, che non possono scegliere il loro orientamento sessuale esattamente come non si può scegliere la propria altezza (…). In secondo luogo dovrebbero essere dipinti come vittime di pregiudizi».
LAVORARE DAL BASSO. Lo schema di Madsen e Kirk avrebbe dunque funzionato brillantemente: «Siamo bombardati dai loro evidenti successi riportati ogni giorno dai notiziari», ha osservato Mainwaring. Di fronte a uno scenario simile, secondo l’attivista, siccome «i media nazionali sono stregati dal politicamente corretto», occorre «semplicemente e quasi sempre scegliere di ignorarli». In questa fase bisogna solo «parlare liberamente faccia a faccia, in piccoli gruppi o all’interno di congregazioni, parrocchie e organizzazioni civiche», visto che «tutto ciò che viene detto dagli oppositori del programma della sinistra radicale viene distorto (…). In un certo senso, siamo come quelli che in un passato non troppo lontano si opponevano alla tirannia degli Stati totalitari». Si tratta di persone che «vinsero lavorando di nascosto in condizioni più tiranniche e molto più pesanti di quelle che stiamo affrontando ora».
Mainwaring invita ad imitarle «stando coraggiosamente nelle nostre comunità locali», non permettendo «a noi stessi di essere messi a tacere dal politicamente corretto. Rimaniamo fermi sul matrimonio. Rimaniamo fermi sulla vita. Rimaniamo fermi sui diritti dei bambini a nascere e ad avere sia una mamma sia un papà. Abbiamo la verità dalla nostra parte. Abbiamo ragione e loro hanno torto, quindi non c’è da temere». L’unico errore da non fare è «rimanere tranquilli in attesa di trovare un argomento vincente (…). La verità prevarrà, se ognuno di noi aprirà la bocca e la proclamerà. Se posso citare Madsen e Kirk: “Spetta a voi, lettori senza paura, agire”».
Ho avuto modo più volte di dire che la questione dell’orientamento sessuale (etero o omosessuale) della persona non è oggetto degli articoli che appaiono in questo blog. Ho scelto di non affrontare l’argomento, non per negare la dottrina cristiana sul matrimonio, della quale sono fermamente convinto, nella fede, ma di considerare l’argomento ad un altro livello, quello esistenziale, oltre che morale. E quando scendiamo nel profondo della coscienza delle persone, di tutti, senza discriminazione, anche quelle che si dichiarano gay, occorre rispetto e non si può, non si deve aprire un dibattito come se fosse un argomento da talk show, o peggio, un argomento di attualità politica. Non vedo la positività di fare gli agitatori di piazza contro le persone con orientamento omosessuale. La fede cristiana e cattolica deve suggerire le vie, nella carità, su come affrontare la questione, senza tradire il vangelo. Ma, certamente, ne verrebbe tradito l’uomo se si usasse il vangelo come una mannaia per inchiodarlo al suo peccato, qualunque esso sia.
Altra questione è la battaglia politica, che sta infiammando le due sponde dell’Atlantico, sul matrimonio gay, sull’uguaglianza dei generi (non solo maschio e femmina, ma anche gay, lesbiche e trans-gender) e sull’educazione alla sessualità nelle scuole primarie.
Se guardiamo alla radice il problema, sembra di avere l’impressione che i politici a Washington, Bruxelles, Roma e altrove non abbiano alcun interesse verso la questione, in quanto le energie che vi si stanno investendo sono decisamente sproporzionate rispetto a quelle investite per la protezione (sociale, economica, culturale, civile) della famiglia tradizionale, come se queste fossero una minoranza insignificante da cui non lasciarsi turbare.
Il seguente articolo, tratto dal sito web Pro Vita, da quale sto traendo diverso materiale per far conoscere l’impostazione del problema e i rischi che corriamo, aiuta a capire cosa c’è in gioco.
Dunque, non una campagna contro i gay, ma contro le lobby e le correnti culturali e politiche che stanno tradendo le radici stesse della società perché, dietro alla questione dell’uguaglianza di gender, come sempre, girano interessi miliardari. Ed è qui che vediamo un’opera che osiamo chiamare diabolica. Vogliamo capire, quindi, quali sono le ragioni e le tattiche usate dai lobbisti gender per arrivare al loro scopo, e perché.
E.C.
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Dal sito web Pro Vita
Dalla prefazione dell’autore: Io sono un uomo gay che si oppone al matrimonio tra persone dello stesso sesso. I lettori possono vedere il video del mio intervento su questo argomento risalente all’inizio di quest’anno, alla celebrazione del Raduno per il Matrimonio su youtube e leggere anche il mio saggio ‘Discorso Pubblico’ “Sono gay e mi oppongo al Same-Sex Marriage”.
Un recente articolo del ‘Daily Beast’, “Pennsylvania. Oregon. Il Matrimonio Gay è inarrestabile?” iniziava affermando che “La cascata di sentenze sul matrimonio omosessuale è ora un torrente, sempre più sostenibile, molto più pronta dal punto di vista dell’immagine che in passato”. Il pezzo si chiude con questa conclusione:
“Non è un caso che sia in Oregon sia in Pennsylvania le sentenze comincino con le storie di agitazione dei ricorrenti, coppie gay alle quali per troppo tempo è stato negato il diritto di sposarsi. In superficie, quelle storie sono dettagli superflui. Ma da una attenta lettura, sono il motivo per il quale non arriverà l’ondata dei matrimoni omosessuali.”
L’autore sottolinea che si tratta di fatti e storie che hanno guidato le recenti sentenze a favore del matrimonio omosessuale da parte della magistratura ma non quella della Suprema Corte nella sentenza “La Decisione Windsor” del 2013.
La vera storia è questa: è tutta una questione di marketing e di ‘inquadramento’ delle percezioni, unita a tattiche intimidatorie.
Come siamo arrivati al punto in cui, dei giuristi di alto profilo, ignorano la volontà del popolo definita chiaramente attraverso iniziative elettorali, così come dei precedenti legali fissati dalla Corte di Cassazione? Come le decisioni giudiziarie vengono talmente influenzate dalla soggettività, dalle immagini, dalle strategie di marketing intelligente e dalle percezioni prodotte con attentissima cura da parte di speciali gruppi di interesse?
Completamente Fastidioso, sin dal Progetto.
Per comprendere questa evoluzione culturale dobbiamo guardare indietro di un quarto di secolo fino alla pubblicazione di un libro che, fino ad oggi, è stato in gran parte trascurato. Pubblicato nel 1989, After the Ball (sottotitolato, ‘Come l’America vincerà la sua paura e l’odio dei gay negli anni ’90′), ha presentato un piano globale per stabilire la normalità di gay e lesbiche e per assicurare la più ampia condivisione ed accettazione dei diritti.
Il manifesto fu realizzato da una coppia di laureati di Harvard.
Marshall Kirk era un ricercatore in neuropsichiatria.
Hunter Madsen ha studiato politica e ha continuato a lavorare su Madison Avenue, diventando un esperto di tattiche di persuasione pubblica e marketing sociale.
La strategia artificiosa di marketing di Kirk e Madsen è un successo clamoroso.
In molti modi, quello che ora vediamo verificarsi, è attribuibile alla loro preveggenza.
Ecco una litaniaca raffica di brani che fornisce una descrizione del loro piano. Per chiunque abbia prestato attenzione a ciò che è accaduto nella nostra cultura degli ultimi decenni, questo suonerà molto familiare:
“Abbiamo in mente una strategia. . . congegnata e potente. . . manipolativa. . . ed è tempo di imparare da Madison Avenue a spianare i ‘grossi calibri’. I gay devono lanciare una massiccia campagna e l’abbiamo chiamata ‘la conduzione della campagna per la pace’ per andare diritti e raggiungere il risultato attraverso i media. Stiamo parlando di propaganda …”
“Occorre dimenticare di tentare di convincere la gente in maniera diretta che l’omosessualità è una buona cosa. Ma se riesci a fargli comprendere che sia solo un’altra cosa che non merita più di una scrollata di spalle, allora la vostra battaglia per i diritti giuridici e sociali è praticamente vinta.”
“L’applicazione del principio “keep-talking” può convincere la gente a raggiungere lo stadio della ‘scrollata di spalle’. La discussione libera e frequente dei diritti dei gay da parte di una grande quantità di persone e di luoghi dà l’impressione che l’omosessualità è un luogo comune.”
“Il parlarne costantemente instaura l’impressione che l’opinione pubblica è perlomeno divisa sull’argomento e che una considerevole fetta, i più moderni ed ‘aggiornati’ cittadini, accettano o addirittura praticano l’omosessualità. . . La cosa principale è quello di parlare di omosessualità fino a quando la questione diventi completamente noiosa. . .”
“I gay possono minare l’autorità morale di. . . chiese nonché gli stessi seguaci meno ferventi possono essere rappresentati come istituzioni e figure retrograde e antiquate non al passo con i tempi e con le più recenti scoperte della psicologia. Questo ha già funzionato bene in America contro le chiese su temi come il divorzio e l’aborto. Con un numero sufficiente di dibattiti riguardo la prevalenza e l’accettabilità dell’omosessualità, questa strategia può funzionare per i gay. . .”
“Due diversi messaggi sulla vittima gay daranno valore alla comunicazione. In primo luogo il pubblico dovrebbe essere persuaso dal fatto che i gay sono vittime di circostanza, che non possono scegliere il loro orientamento sessuale esattamente come non si può scegliere la loro altezza, il colore della pelle, il talento o le limitazioni. (Noi sosteniamo che, ai fini pratici, i gay dovrebbero essere considerati di essere gay per nascita, anche se l’orientamento sessuale, per la maggior parte degli umani, sembra essere il prodotto di una complessa interazione tra predisposizioni innate e fattori ambientali durante l’infanzia e la prima adolescenza. ). . .”
“E dal momento che non è coinvolta nessuna scelta, l’omosessualità non può essere più riprovevole dell’eterosessualità. In secondo luogo dovrebbero essere dipinti come vittime di pregiudizi. Gli etero non si rendono conto appieno della sofferenza che apportano ai gay. . .”
“In tutta franchezza, siamo convinti che l’intero nostro sistema funzionerà come previsto. . . Spetta a voi, lettori senza paura, di agire.”
Lo schema di Madsen e Kirk ha funzionato brillantemente. Siamo bombardati dai loro evidenti successi nelle notizie ogni giorno.
Inverosimile Integrazione di Idee, Ancor Prima un Romanzo
L’idea che ci sia qualcosa di incostituzionale, se non addirittura ‘anti-umano’, riguardo al rigetto del ‘matrimonio senza sesso’, ha colto l’immaginazione di chi detiene il potere.
Cerchiamo di essere chiari: finora l’idea del matrimonio tra persone dello stesso sesso non ha vinto alle urne nel novembre 2012, o presso la Corte Suprema degli Stati Uniti lo scorso giugno e neanche tra alcuni giuristi e legislatori. Lo ha fatto e continua a farlo la strategia di marketing sviluppata da psicologi sociali di sinistra.
Cerchiamo di essere ulteriormente chiari.
Il popolo americano non si è innamorato del il concetto di matrimonio omosessuale, proprio per niente. Quindi, come ha fatto la sinistra radicale a prendere il sopravvento nel dibattito inerente il matrimonio omosessuale? Una tecnica identificata da Cass Sunstein e Timur Kuran ne spiega il processo semplice ed efficace: Cascate di Disponibilità.
“Una ‘CASCATA di DISPONIBILITA’ è un processo di auto-rafforzamento della creazione di una credenza collettiva con la quale una percezione espressa, innesca una reazione a catena che dà una percezione di plausibilità crescente attraverso la crescente disponibilità di discorsi pubblici. Il meccanismo-guida comporta una combinazione di motivi informativi e di reputazione:
Gli individui avallano la percezione, in parte imparando dalle credenze apparenti degli altri e in parte distorcendo le loro risposte pubbliche, nell’interesse del mantenimento della accettazione sociale. Gli ‘Imprenditori della Disponibilità’, attivisti che manipolano il contenuto del discorso pubblico, si sforzano di innescare questo processo per spingere avanti i loro programmi.”
In altre parole, si pensi che questi discorsi una volta erano limitati a piccoli gruppi marginali mentre ora con questo metodo guadagna rapidamente l’accettazione sociale, nonché il dominio, perché le persone temono che se essi non ne danno un sostegno pubblico, appariranno sofisticati e non al passo coi tempi, che li renderebbe emarginati nei loro luoghi di lavoro, scuole, quartieri, chiese, o anche nelle loro famiglie. Il loro pensiero critico viene messo da parte dal loro istinto di autoconservazione.
Correttezza politica
Nessuna tattica, dei poteri che si contrappongono ai costumi giudaico-cristiani, si è dimostrata più efficace della ‘Correttezza Politica’. Perché? Chi non aderisce viene minacciato di isolamento sociale e sospinti verso una ‘depressione anaclitica’. Così, la pressione ‘dell’uguale’ che domina scuole medie, scuole superiori e università conserva tutta la sua potenza terrificante di intimidazione degli adulti americani, causando in moltissimi la soppressione della libera ricerca e ‘ri-orientando’ i loro comportamenti.
Le informazioni e le cascate di opinioni (descritti da Sunstein e Kuran) promulgate dalla sinistra hanno lo scopo di sopraffare e intimidire. Sono la causa per cui, individui con libertà di pensiero in altre situazioni, si impegnano nel preferire la ‘falsificazione’ (negando pubblicamente i propri veri pensieri e valori nel mantenere una posizione sociale positiva).
I media giocano un ruolo enorme nella creazione di informazioni e di ‘cascate di opinioni’ controllandone la narrazione, determinandone il flusso di informazioni e di opinioni. In questo modo la sinistra ha avuto grande successo nel consenso (come descritto da Walter Lippmann), che porta erroneamente le persone a concludere che le nozioni plausibili, come il matrimonio tra persone dello stesso sesso, siano inevitabili.
Il Tallone d’Achille del Matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Ma i processi che hanno portato al sorprendente successo della sinistra radicale sono anche il suo tallone d’Achille. Il consenso che viene prodotto non è reale. I fautori del matrimonio tra persone dello stesso sesso non hanno vinto nell’arena delle idee ma hanno vinto attraverso la manipolazione.
La superiorità morale che la sinistra radicale sembra abbracciare è estremamente fragile, perché il suo sostegno popolare è stato fabbricato. Unica speranza della sinistra di mantenere questo sostegno è quello di continuare a sopprimere la libertà di parola e di religione. Non possono rischiare la proclamazione della verità che si tratti della verità del Vangelo, la verità del diritto naturale, o anche il semplice buon senso.
Ma il terreno conquistato dalla sinistra radicale può essere riconquistato. Se siamo altrettanto disciplinati quanto concentrati, come lo sono i sostenitori del matrimonio tra persone dello stesso sesso, possiamo non solo recuperare il terreno perso ma possiamo anche aprire nuove strade. Non dobbiamo disperare; dovremmo riorganizzarci e prepararci a condurre la battaglia in un modo nuovo e diverso.
I Media? Lavorano intorno a loro.
I media tradizionali sono stregati dalla correttezza politica, che rende il nostro compito estremamente difficile, ma non impossibile. I media non potranno mai allontanarsi dal parlare del politicamente corretto, non importa quanto poco plausibile o ridicolo possa essere. Quindi dovremmo, per la maggior parte, semplicemente scegliere di ignorarli, spazzarli da una parte e non aspettarci nulla, se non dei tentativi di blocco.
Ecco perché in questa fase del gioco, parlando liberamente faccia a faccia, in piccoli gruppi, o all’interno di congregazioni, parrocchie e organizzazioni civiche, è più importante che mai. Tutto ciò che viene detto dagli oppositori del programma della sinistra radicale viene distorto dai collaboratori dei media sulla pubblica piazza. Per questo la piazza non dovrebbe essere il nostro luogo primario dove condurre la nostra attività. Il nostro lavoro proseguirà nelle nostre case e nelle auto mentre si viaggia insieme, ai tavoli da pranzo e sugli sgabelli e nelle chiese e nelle sale riunioni della comunità.
In un certo senso siamo come quelli che in un passato non troppo lontano si opponevano alla tirannia degli stati totalitari e che erano in grado di trasmettere le loro convinzioni, ma ora abbiamo trovato il modo di costruire grandi reti di relazioni locali che possono portare al crollo del totalitarismo.
Dobbiamo essere creativi.
La gente ha trovato il successo lavorando di nascosto in condizioni più tiranniche e molto più severe di quelle che stiamo affrontando ora.
Cosa si può fare?
L’unico modo per combattere il potente marketing e l’intimidazione che sta dietro al matrimonio omosessuale è, per ognuno di noi, quello di ‘stare’ coraggiosamente nelle nostre comunità locali, affrontare il bullismo, mettendo a tacere le tattiche ‘non aggiornate’ di giudici, legislatori, compari aziendali e dei media collaboratori.
Rimaniamo fermi sulle posizioni sociali che conosciamo nel nostro intimo per essere veritieri. Non permettiamo a noi stessi di essere messi a tacere dalla ‘correttezza politica’. Rimaniamo fermi sul matrimonio. Rimaniamo fermi sulla vita. Rimaniamo fermi sui diritti dei bambini a nascere e ad avere sia una mamma sia un papà. Abbiamo la verità dalla nostra parte. Noi abbiamo ragione, e loro sono in errore, quindi non abbiamo paura.
Uomini e donne devono elevarsi fino a soppiantare i politici in carriera e le tipologie di supporto dei media che ora dominano la narrazione nazionale. Non possiamo più rimanere in silenzio.
Abbiamo bisogno di legislatori solidi, giornalisti e attivisti, per superare questa enpasse e raggiungere la base, al fine di riempire varie posizioni ad ogni livello di governo locale, statale e nazionale, sommergendo la blogosfera, le onde radio, e le pagine di opinione con punti di vista autenticamente pro-vita, pro-matrimonio e pro-libertà. Abbiamo bisogno di strappare la possibilità del ‘racconto’ alla sinistra radicale.
Non abbiate paura di parlare.
Non fare l’errore di rimanere tranquilli fino a quando si è certi di avere un argomento vincente. Basta parlare in modo veritiero e far sapere agli altri le vostre convinzioni. La verità prevarrà, se ognuno di noi apre la propria bocca e lo proclama.
Se posso citare Madsen e Kirk: “Spetta a voi, lettori senza paura, di agire.”
Traduzione a cura di Marco Buono
Per approfondire:
Fonte, articolo originale in lingua inglese: Life Site News
Mario Mieli e Michael Swift erano due rappresentanti dell’attivismo gay . Secondo punto in comune: ci rivelano entrambi il volto più inquietante di quel mondo.
I senatori Malan, Giovanardi, Formigoni e Gasparri hanno recentemente chiesto al Governo che il Circolo Mario Mielinon venga accreditato presso l’UNAR come “ente di formazione” (per i nostri bambini a scuola), a causa, inter alia, del fatto che la persona alla quale è intitolato il Circolo (appunto Mario Mieli) fosse un noto promotore della pedofilia e della pederastia.
Proprio così. Infatti nel suo libro “Elementi di Critica Omosessuale” pubblicato nel 1977, Mario Mieli scriveva: “Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino l’essere umano potenzialmente libero. Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l’amore con loro. Per questo la pederastia è tanto duramente condannata: essa rivolge messaggi amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza, educastra, nega, calando sul suo erotismo la griglia edipica … [La pederastia, invece] è una freccia di libidine scagliata verso il feto.” (capitolo I, 8).
La promozione della pedofilia, del resto, come mostrano i senatori, è una tesi costantemente ripresa dall’attivista gay (dichiarazioni di Malan e Giovanardi, ANSA – Roma, 09/09/2015).
Indubbiamente – se si considera l’aumento della pedofilia oggi – Mieli da questo punto di vista potrebbe essere visto come un vero profeta.
Ma non il solo.
Esattamente dieci anni dopo la pubblicazione dell’opera di Mieli, nel 1987, è apparso lo scritto di Michael Swift(probabilmente uno pseudonimo): il “Gay manifesto”. Esso venne pubblicato su Community News del 15-21 Febbraio 1987, apparve su NFD Journal e si può reperire anche nell’archivio del Congresso USA. Ecco qualche estratto del “Gay manifesto” (si può leggere il testo completo a questo link):
“Sodomizzeremo i vostri figli emblema della vostra flebile mascolinità, dei vostri sogni piatti e volgari menzogne. Li sedurremo nelle vostre scuole, […]
Tutte le leggi che bandiscono l’attività omosessuale saranno revocate. Al loro posto passerà una legislazione che consentirà l’amore tra uomini. […]
Scriveremo poemi sull’amore tra uomini; insceneremo commedie in cui uomini carezzeranno apertamente altri uomini; faremo dei film sull’amore eroico tra uomini […] I musei del mondo saranno riempiti solo di dipinti di aggraziati ragazzi nudi. I nostri scrittori ed artisti renderanno l’amore tra uomini alla moda e di rigore e noi riusciremo perché siamo capaci di dettare gli stili. […]
Voi sarete scioccati e terrorizzati quando scoprirete che i vostri presidenti e i lori figli, i vostri industriali, i vostri senatori, i vostri sindaci, i vostri generali, i vostri atleti, i vostri attori cinematografici, le personalità della televisione, i vostri leader civici, i vostri preti non sono le figure borghesi, familiari, sicure, eterosessuali che voi credete che siano. […]
La famiglia luogo di menzogne, tradimenti, mediocrità, ipocrisia e violenza sarà abolita.
Bambini perfetti saranno concepiti e cresciuti in laboratori di genetica. Saranno tenuti insieme in un ambiente comune sotto il controllo e l’istruzione di sapienti omosessuali. Tutte le chiese che ci condannano saranno chiuse. I nostri dei sono solo i giovani belli. Noi aderiamo al culto della bellezza sia morale che estetica. […]
Non è possibile sapere con certezza con quale intenzione il pezzo fu scritto. Una fantasia? Un piano? Un’agenda che la comunità LGBT intendeva sottoporre alla classe politica? Un delirio vendicativo nei confronti della “normalità”? Non possiamo dare risposte certe. Ognuno di noi può decidere quale delle interpretazioni sia quella più verosimile.Tuttavia, Michael Swift, al di là delle intenzioni, fu certamente anche un profeta.
Il “Gay Manifesto” anticipa precisamente molte delle cose che stanno accadendo sotto i nostri occhi in Occidente. E’ sufficiente osservare i cambiamenti in materia in questi ultimi decenni: le leggi che vietano l’attività omosessuale sono state abrogate; gli ordinamenti riconoscono giuridicamente l’amore fra persone dello stesso sesso; vengono riconosciuti i “matrimoni” e le adozioni gay; l’omosessualità viene promossa dai media, dal mondo dell’arte, dal cinema; la famiglia e la Chiesa subiscono forti attacchi; si diffondono la fecondazione in vitroe la compravendita dei bambini tramite l’utero in affitto; comincia la discriminazione e la persecuzione contro chi contesta il pensiero unico, politicamente corretto, LGBT, ecc.
L’avveramento di molte di queste “profezie” fa certamente riflettere. Si realizzeranno anche le altre?
ProVita Onlus, l’Associazione Italiana Genitori (AGe), l’Associazioni Genitori delle Scuole Cattoliche (AGeSC), il Movimento per la Vita e Giuristi per la Vita, presentano questa petizione propositiva al Ministro dell’Istruzione, nonché al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio, affinché i nostri figli possano trovare nella scuola, non ideologie destabilizzanti come l’ideologia gender, ma progetti, corsi e strategie educative che permettano uno sviluppo sano della loro personalità, in armonia con la famiglia e con le istanze etiche, rispettosi di tutti ed in primis della natura umana.
Hanno finora aderito alla petizione anche le seguenti realtà: La Nuova Bussola Quotidiana, Tempi, il Timone, Voglio la Mamma, la Fondazione Novae Terrae, Vita E’, NonSitoccalaFamiglia, il Comitato Articolo 26, il Consiglio Regionale dell’UCIIM Calabria, la Manif pour Tous Italia, Aleteja, il Coordinamento Famiglie Trentine, Cristiani per la nazione, il Centro Italiano Femminile, il Movimento P.E.R., l’Associazione Nazionale Famiglie Numerose, Cultura Cattolica, Libertà e persona, Nuovi Orizzonti, La Quercia Millenaria, il MEVD, l’AMCI, Alleanza Evangelica, l’Associazione CIF Regione Molise, SOS Ragazzi, l’AIGOC, il Consultorio UCIPEM “LaFamiglia”, AIPPC, Vita Nuova Trieste, Osservatorio Cardinale Van Thuân, Scienza e Vita, APPM, UCCR, UCFI, Archè e Agere Contra.
Scarica il modulo per raccogliere le firme manualmente nella tua città.
Le associazioni che vogliono aderire pubblicamente alla petizione, possono contattarci compilando l’appositomodulo online cliccando qui
Sempre più diffusa è la consapevolezza che ci troviamo di fronte ad una vera e propria emergenza educativa, in particolare per quanto riguarda le tematiche dell’affettività e della sessualità. Molti hanno già reagito contro la subdola introduzione della teoria del gender nelle scuole di ogni ordine e grado (fin dagli asili nido). Tuttavia, anche quando non si arriva a questo punto, in molti casi l’educazione sessuale è priva di riferimenti morali, discrimina la famiglia, e mira ad una sessualizzazione precoce dei ragazzi.
Attualmente i progetti educativi in questo ambito vengono spesso presentati richiamando l’esigenza di “lottare contro la discriminazione“. L’intento in sé potrebbe essere lodevole se ciò significasse educare gli studenti a rispettare ogni persona e a non rendere nessuno, a causa delle proprie condizioni personali (disabilità, obesità, razza, religione, tendenze affettive, ecc.), oggetto di bullismo, violenze, insulti e discriminazioni ingiuste. In realtà il concetto generico di “non discriminazione” nasconde molto spesso: la negazione della naturale differenza sessuale e la sua riduzione ad un fenomeno culturale che si presume obsoleto; la libertà di identificarsi in qualsiasi “genere” indipendentemente dal proprio sesso biologico; l’equiparazione di ogni forma di unione e di “famiglia”; la giustificazione e normalizzazione di quasi ogni comportamento sessuale. Tutto ciò, anche in altri paesi dove simili strategie educative sono da tempo applicate, come in Inghilterra e Australia, ha già causato una sessualizzazione precoce della gioventù che ha portato ad un aumento degli abusi sessuali (anche tra giovani), alla dipendenza dalla pornografia, all’attività sessuale prematura con connesso aumento di gravidanze e aborti già nella prima adolescenza, e all’aumento della pedofilia.
Inoltre i suddetti progetti educativi, e persino la “strategia nazionale” dell’UNAR, vengono sovente redatti con la collaborazione esclusiva di associazioni LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transessuali) senza l’adeguato coinvolgimento di associazioni ed enti rappresentativi dei genitori, e quindi, sia per le modalità che per i contenuti, sono elaborati e diffusi in violazione dell’art. 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (“I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli”); dell’art. 2 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo (“Lo Stato … deve rispettare il diritto dei genitori di provvedere a tale educazione e a tale insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche”);dell’art. 30 della Costituzione italiana (“E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”); e dell’art. 14 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza dell’UNICEF(“Gli Stati parte rispettano il diritto e il dovere dei genitori oppure, se del caso, dei tutori legali, di guidare il fanciullo nell’esercizio della libertà di pensiero, di coscienza e di religione”).
Per questi motivi con la presente petizione chiediamo al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, non solo, come già chiesto sia dalla nostra che da altre associazioni, di disapplicare la “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere” e di impedire la diffusione di ogni progetto educativo che ad essa si ispiri, ma soprattutto di emanare precise direttive affinché tutti i progetti, corsi, strategie educative, si conformino ad alcune linee guida, prevedendo, in particolare:
Che venga rispettato il ruolo della famiglia nell’educazione all’affettività e alla sessualità, riconoscendo il suo diritto prioritario ai sensi dell’art. 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e dei decreti che riconoscono le scelte educative dei genitori (artt. 1.2, 3.3 e 4.1 del DPR 275/99, art. 3 del DPR 235/97, artt. 2.3, 2.6 e 3 del DPR235/2007 e il Prot. AOODGOS n. 3214 del 22.11.2012). Ogni “strategia” educativa, specie se di rilievo nazionale, dovrebbe rispettare sia nelle sue modalità di elaborazione e diffusione (coinvolgendo prevalentemente enti rappresentativi dei genitori e delle famiglie) che nei contenuti, questo dirittofondamentale. Similmente, i progetti sull’affettività e la sessualità da attuare nelle scuole dovrebbero coinvolgere le famiglie nell’opera di educazione e rendere i propri contenuti trasparenti ad esse, evitando il contrasto con le “convinzioni religiose e filosofiche” dei genitori. L’azione educativa della scuola in questo ambito deve essere informata a due principi: il principio di sussidiarietà (il diritto-dovere dei genitori di educare è insostituibile e va sostenuto dallo Stato) e il principio di subordinazione(l’intervento della scuola deve essere soggetto al controllo da parte dei genitori).
Che sia oggetto di spiegazione e di studio la ragione per la quale la nostra Costituzione, all’art.29, privilegi la “famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, della quale “riconosce” gli speciali diritti, diversamente da ogni altro tipo di unione.
Che si educhi a riconoscere il valore e la bellezza della differenza sessuale e della complementarietà biologica, funzionale, psicologica e sociale che ne consegue. In questo modo gli studenti impareranno anche che la madre e il padre, nella famiglia, ancor più che nel mondo del lavoro o in altri contesti, apportano la loro propria ed insostituibile ricchezza specifica.
Che si educhi al rispetto del corpo altrui ed al rispetto dei tempi della propria maturazione sessuale ed affettiva.Questo implica che si tenga conto delle specificità neurofisiologiche e psicologiche dei ragazzi e delle ragazze in modo da accompagnarli nella loro crescita in maniera sana e responsabile, prevedendo corsi di educazione all’affettività e alla sessualità, concordati con i genitori.
Che si porti a riconoscere che l’attività sessuale non si riduce alla dimensione del piacere, ma che comporta delle conseguenze gravi e dei doveri importanti. A questo proposito si potranno mostrare utilmente i risultati delle indagini sociologiche secondo le quali ritardare l’attività sessuale e ridurre il numero di partner aumenta le possibilità di intrattenere relazioni stabili nel futuro e riduce i problemi psicologici (come la depressione), specialmente nelle ragazze.
Firma subito anche tu la petizione, e unisci la tua voce a quella delle associazioni ProVita Onlus, AGe, AGeSC e Giuristi per la Vita, affinché il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca accolgano la nostra proposta educativa e garantiscano che nelle scuole i nostri figli possano trovare, non ideologie pericolose, ma la via verso uno sviluppo sano della loro personalità, in armonia con la famiglia e con le istanze etiche.
Commissione Giustizia del Senato, 30 luglio 2015, primo pomeriggio. L’insolazione che rischiano i turisti dell’Urbe a causa delle temperature torride pare aver colpito la maggioranza degli onorevoli senatori riuniti in Commissione, nonostante il refrigerio loro offerto dagli efficienti impianti di condizionamento d’aria. Va in scena, infatti, un teatrino surreale dall’epilogo davvero inquietante. L’ottimo senatore Lucio Malan presenta un ordine del giorno nel quale si legge, tra l’altro, che «il Senato impegna il Governo a non violare i due diritti fondamentali riconosciuti, garantiti e tutelati dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, i propri valori religiosi nell’educazione, e il diritto di priorità dei genitori nella scelta di educazione da impartire ai propri figli (artt. 18 e 26); a garantire e tutelare il diritto dei genitori ad educare i propri figli».
Parrebbe un’affermazione quasi lapalissiana in un sistema istituzionale che si autodefinisce democratico. Chi oserebbe mai mettere in dubbio la sacra Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo? E invece no! Nel bislacco mondo sublunare delle istituzioni italiane c’è chi ha osato, eccome. Non soltanto la senatrice Cirinnà, ma molti onorevoli componenti della Commissione strepitano come vestali scandalizzate alla proposta del povero Malan, accusato di aver messo in dubbio l’onore del governo. Sì, perché, con una motivazione pelosa e ipocrita, i senatori sconcertati contestano l’ordine del giorno in quanto, così come formulato, esso avrebbe potuto insinuare il dubbio che lo stesso governo avesse intenzione di violare i diritti fondamentali dell’uomo. Il buon senso popolare definisce questo atteggiamento “coda di paglia”.
Interviene, con la saggezza che gli è consueta, il presidente della Commissione Francesco Nitto Palma, il quale tenta di riportare i senatori alla ragione attraverso la proposta di una modifica a quella parte dell’ordine del giorno oggetto di scandalo. Lo stesso presidente suggerisce, infatti, di riformulare ulteriormente il testo dell’ordine del giorno, prevedendo che il governo sia chiamato ad impegnarsi nel «continuare a garantire e a rafforzare» la tutela dei diritti fondamentali riconosciuti ed affermati dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, nonché eliminando il riferimento testuale ai richiamati articoli 18 e 26.
A questo punto, i senatori contestatari sono costretti a gettare la maschera, dimostrando che il problema non era tanto la formulazione del documento, quanto il contenuto di merito dello stesso. Così, quei componenti della Commissione Giustizia non hanno mostrato alcun ritegno nel votare contro o nell’astenersi, che – com’è noto – al Senato equivale al voto contrario. L’ordine del giorno, quindi, è stato clamorosamente bocciato con otto voti a favore (Fi, Ncd, Lega, senatore Orellana del Gruppo Misto) e dodici fra astenuti (M5S e alcuni Pd) e contrari del Partito Democratico (Cirinnà, Del Giudice, Lumia). I resoconti dei lavori della Commissione Giustizia del Senato consegneranno alla storia questa vergogna.
Resterà scritto a peritura memoria che un’istituzione “democratica” ha deciso di bocciare un ordine del giorno di questo tenore: «Il Senato impegna il Governo a continuare e a rafforzare la tutela dei due diritti fondamentali riconosciuti, garantiti e tutelati dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: la libertà di manifestare isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, i propri valori religiosi nell’educazione, e il diritto di priorità dei genitori della scelta di educazione da impartire ai propri figli; a garantire e tutelare il diritto dei genitori ad educare i propri figli».
Si potrebbe sdrammatizzare la vicenda rievocando il classico “pasticcio all’italiana”, e imputare tutto alla dabbenaggine, alla superficialità, al pressapochismo dei senatori, giustificandoli col fatto di non essersi resi conto, di non aver compreso appieno la portata del documento sul quale hanno espresso voto contrario. Noi temiamo, invece, che quel voto nasca da una lucida e deliberata volontà, e rappresenti l’inquietante prodromo della deriva totalitaria che si sta profilando all’orizzonte del nostro Paese, il segno premonitore di quella dittatura del pensiero unico» che papa Francesco continua coraggiosamente a denunciare. Cupi presagi di un totalitarismo alle porte.
Ecco un modello di lettera che i Giuristi per la vita hanno preparato per i genitori che hanno bambini in età della scuola.
E’ uno strumento col quale potersi difendere dall’aggressione delle lobby che vogliono mettere le mani sulla mente dei nostri bambini.
_________________
Al Dirigente Scolastico
dell’Istituto……
e.p.c. All’Ufficio Scolastico Provinciale
di …………………………………….
e.p.c. All’Ufficio Scolastico Regionale
di …………………………………….
Oggetto: RICHIESTA CONSENSO INFORMATO
I sottoscritti genitori dell’alunno…………………, frequentante la classe ………… di codesto Istituto, nell’esercizio del loro diritto inviolabile e fondamentale all’educazione,
PREMESSO
– che l’art.26, terzo comma, della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo attribuisce ai genitori «il diritto di priorità nella scelta di educazione da impartire ai propri figli»;
– che l’art. 18 della stessa Dichiarazione Universale garantisce la «libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, i propri valori religiosi nell’educazione»;
– che l’art. 2 del primo protocollo addizionale alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, rubricato “Diritto all’istruzione”, sancisce il principio secondo cui: «lo Stato, nel campo dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di provvedere secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche»;
– che l’art.30 della Costituzione italiana che garantisce e tutela «il diritto dei genitori ad educare i propri figli»;
– che la Raccomandazione CM/Rec(2010)5 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa invita espressamente gli Stati membri a «tenere conto del diritto dei genitori di curare l’educazione dei propri figli» nel «predisporre e attuare politiche scolastiche e piani d’azione per promuovere l’uguaglianza e la sicurezza e garantire l’accesso a formazioni adeguate o a supporti e strumenti pedagogici appropriati per combattere la discriminazione» (Allegato VI Istruzione, n.31);
– che nella “Linee di Indirizzo sulla Partecipazione dei Genitori e Corresponsabilità Educativa” diramate dal Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca il 22 novembre 2012 si è espressamente invocato il diritto dei genitori alla «corresponsabilità educativa»;
CHIEDONO
– di essere espressamente informati per iscritto se nell’ambito del Piano per l’Offerta Formativa sono previsti progetti relativi all’educazione sessuale ed affettiva, alla cosiddetta “teoria del gender”, o comunque connessi a forme di propaganda ideologica omosessualista, anche mediante lezioni tenute da educatori esterni o rappresentanti di associazioni LGBT, come avvenuto nel caso dell’istituto scolastico I.T.C.G. “Cattaneo-Dall’Aglio” di Castelnovo ne’ Monti (RE), o mediante distribuzione di materiale didattico, ovvero mediante la predisposizione di bibliografie sulle tematiche LGBT e sulle nuove realtà familiari, come avvenuto al Liceo Classico “Giulio Cesare” di Roma nella nota vicenda legata al romanzo “Sei come sei” della scrittrice Melania Mazzucco;
– di essere espressamente informati per iscritto e in modo completo e dettagliato del contenuto delle eventuali attività didattica in questione, dei relativi materiali e i sussidi utilizzati, della data, dell’ora e della durata di tale attività, e di ogni informazione necessaria a identificare le persone e gli enti coinvolti nella organizzazione dell’attività in questione, al fine di valutare anche i relativi titoli;
AVVERTONO
– che la presente richiesta viene formalmente inoltrata al fine di poter valutare se dare o meno il consenso alla partecipazione del proprio figlio a tali attività didattiche;
– che, in mancanza delle informazioni richieste o in mancanza del consenso scritto dei richiedenti genitori, il proprio figlio dovrà essere esonerato dal partecipare ai summenzionati progetti formativi e dal frequentare le attività ad essi connesse;
ESPRIMONO
Il proprio apprezzamento e personale gratitudine per il sostegno che la S.V. vorrà in ogni circostanza fornire per facilitare l’esercizio libero, democratico e civile dei diritti dei sottoscritti genitori, nel rispetto dello sviluppo della personalità del proprio figlio, garantito dall’art.3, secondo comma, della Costituzione italiana.
Abbiamo visto che gli Stati ossequianti la teoria gender e il transgenderismo consentono la rettifica del sesso nei documenti.
Dapprima ciò era possibile solo dopo l’intervento di chirurgia plastica di “riassegnazione del sesso”.
Oggi, in diversi Paesi, è di moda cambiare il sesso nei documenti (anche dei bambini!) a prescindere dai dati fisici: a secondo di come uno si sente.
La Cassazione sta adoperandosi affinché su questa “importante conquista di civiltà” l’Italia non resti indietro.
Ma non basta.
Il completo scollamento con la realtà, la pura alienazione mentale dei filosofi del gender, va oltre: bisogna cambiare anche il certificato di nascita.
“In quegli stati dove è permesso la rettificazione sessuale, il nuovo sesso viene indicato sui documenti di identità – carta di identità, passaporto, etc. – e su tutti quei documenti con valore legale prodotti dopo il cambiamento di sesso. Ma il certificato di nascita non viene toccato proprio perché certifica il sesso genetico appartenente al neonato al momento della nascita, insomma registra un dato di fatto. Ma anche la storia personale deve essere ritrascritta secondo il gender pensiero e così c’è una legge nel Maryland in vigore dal primo ottobre del 2014 che permette di cancellare il vecchio sesso sul certificato di nascita e sostituirlo con quello nuovo.
C’è pure un’associazione, la FreeState Legal, che aiuta le persone transessuali nelle pratiche legali per ottenere questo. Insomma i fatti, tra cui quelli scritti geneticamente nelle nostre carni, devono essere cancellati se non piace alla gender theory.”
Davanti alle persone gay credo che bisogna usare lo stesso rispetto di ogni altro cittadino del mondo. Come disse Papa Francesco, non sta a noi giudicare la coscienza di chi, con cuore sincero cerca la via di Dio. Sento di aggiungere che non sta a noi giudicare le coscienze di chi, professandosi gay, cerca con tutto il cuore di vivere una vita onesta e dignitosa, indipendentemente che cerchino Dio o no. L’avere un cuore retto e sincero è un fattore chiave con cui costruire sé stessi. Da cattolico, ci poniamo molte domande sul fenomeno gay. Ma il vero cristiano non scenderà dall’alto con la scure per pronunciare condanne eterne che spetta solo a Dio pronunciare, caso mai Egli pronunci condanne eterne (ovvero nel caso in cui non sia l’uomo a pronunciare su se stesso la condanna dell’esclusione dall’amicizia con Dio).
Altra cosa, completamente distinta (anche se non separata) è la questione ideologica del gender, il movimento delle lobby e di milioni di dollari che vengono investiti per smantellare le radici della società tradizionale, come se essa fosse un male in sé, un male assoluto, da distruggere a ogni costo.
Uno può e deve rispettare le persone gay. Ma può anche porsi la domanda: cosa c’entra lo sfogo di tanta volgarità nelle giornate del gay pride (vedi immagine sotto), con la rivendicazione del riconoscimento dei propri diritti in quanto gay. Qui esiste una linea di demarcazione.
Per questo scatta, legittima, la reazione del mondo cattolico, e anche non cattolico, che rifiuta con fermezza l’infiltrazione, nella nostra legislazione, di norme, sia camuffate sia esplicite, che danno potere di mettere le mani sui nostri bambini, di entrare nelle loro menti, mettervi dentro i pilastri di una cultura artificiale. Quella dell’ideologia gender, dunque, sembra profilarsi, in questo tratto di storia che stiamo vivendo, come una delle più grandi minacce all’umanità. Lo aveva già affermato Papa Benedetto XVI.
E.C.
L’agenda degli attivisti LGBT prevede l’abbattimento delle garanzie normative della libertà religiosa (un diritto che somiglia abbastanza, in questo contesto, a quello che noi chiamiamo diritto all’obiezione di coscienza).
La Catholic News Agency (CNA) americana ha pubblicato un interessate e allarmante articolo in cui rilancia le dichiarazioni di Tim Sweeney al forum esecutivo della Out & Equal Workplace Advocates, tenutosi a San Francisco nella scorsa primavera.
Sweeney è stato direttore della Evelyn & Walter Haas, Jr. Fund e presidente della Gill Foundation, fino al 2013. Aprendo il link all’articolo della CNA potrete leggere dei milioni di dollari che queste e altre fondazioni ad esse collegate fanno girare non tanto e non solo per finanziare i Pride e l’attivismo LGBT, ma per fare azione di lobbying al fine di abolire leggi come le Religious Freedom Restoration Acts.
Queste norme, a supporto del I emendamento della Costituzione americana che garantisce la libertà religiosa, sono nate inizialmente a tutela delle minoranze – come i nativi d’America – che per questioni religiose e culturali non volevano adeguarsi a determinate normative in materia di edilizia, piani regolatori ecc.
Da ultimo queste leggi sono state invocate a difesa di coloro che per motivi etici non ritengono di adeguarsi alle leggi sull’aborto e sulla contraccezione (è il caso della catena di negozi Hobby Lobby). Sono le norme invocate – ahinoi non sempre con successo – dai pasticceri, fiorai e ristoratori che non vogliono lavorare in occasione di matrimoni gay.
Queste leggi, quindi, sono considerate “omofobe”. Sono leggi che ostacolano il riconoscimento dei “nuovi diritti civili” agli omosessuali, perciò sono leggi che vanno abolite nel giro di tre anni (così ha detto Sweeney, che si proclama ipocritamente strenuo difensore della libertà religiosa, e “contrario a tutte le discriminazioni”: quindi la sua libertà religiosa de facto si limita alla libertà della sola “religione” omosessualista… ).
Già in Indiana l’azione di lobbying è riuscita a far cambiare la legge.
I milioni di dollari investiti in questa attività sono forniti anche dasponsor di tutto rispetto (e sostanza): Bain & Company, Comcast, Dell, Freddie Mac, Hilton Worldwide, Oracle, e Pricewaterhouse Coopers, Walt Disney Company, Wells Fargo, Deloitte, Hewlett-Packard, Intuit e la media company di Thomson Reuters.
Quel che accade in USA accade anche in Europa, a maggior ragione, dove il laicismo è per certi versi più diffuso e radicato (si veda la Francia o il Regno Unito).
Ecco perché ci preme chiedere a coloro che con la massima attenzione e sensibilità ai “nuovi diritti” dei gay vogliono approvare il ddl Cirinnà, di prevedere almeno anche il diritto all’obiezione di coscienza dei soggetti terzi coinvolti nelle “unioni civili”: chi fosse davvero uno strenuo difensore dei diritti inviolabili dell’uomo deve coerentemente riconoscere tra essi l’obiezione. Ma visti gli attacchi che subiscono gli operatori sanitari che si rifiutano di praticare l’aborto, abbiamo motivo di ritenere che questa coerenza coi “nuovi diritti” davvero non s’accompagni.
I bambini di 7 anni potranno “cambiare sesso” dal punto di vista anagrafico. Basterà che si presentino negli uffici comunali e che dichiarino di non voler più appartenere al sesso maschile e quindi voler appartenere a quello femminile, o viceversa, ed il gioco è fatto. Non saranno necessarie visite mediche o psichiatriche, ma basterà il consenso di mamma e papà. Accade in Norvegia, dove il ministero della Salute, guidato da Bent Hoie, ha presentato al Parlamento una proposta di legge sull’estensione dei diritti dei transgender anche ai minori.
Non solo, ma il limite dell’autorizzazione genitoriale arriva solo fino ai 16 anni.Superata questa soglia, la scelta spetterà solo al singolo individuo. Riguardo al cambio di sesso vero e proprio, tramite intervento chirurgico, resta l’obbligo di aver raggiunto la maggiore età.
La Hoie l’ha definita una proposta “storica”, che vuole estendere anche ai minori i diritti dei transgender, ma che in realtà sembra più contenere la volontà di autorizzare i genitori – che sempre più spesso nella società odierna decidono di mettere al mondo una creatura più per appagare i loro bisogni o per rientrare in un certo status – a decidere di quale sesso preferiscano avere un figlio.
La decisione sarà reversibile, e per lo Stato dovrà valere a tutti gli effetti, dal passaporto al codice fiscale. Uno schiaffo per coloro che sostengono che la teoria gender non esiste.
Secondo il ministro della Salute norvegese la volontà del governo è “quella di cambiare marcia, poiché le attuali norme del governo sono inaccettabili e sono rimaste invariate per quasi sessant’anni”. Inutile dire che tutte le associazioni Lgbt – sigla utilizzata come termine collettivo per riferirsi a persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender – hanno accolto favorevolmente la proposta, perché “è molto importante che le persone transessuali molto giovani vedano rispettata la loro identità di genere”, ha commentato Richard Koheler, esponente della lobby Transgender Europe.
Anche la suddivisione di Amnesty International del Paese scandinavo, rappresentata da Patricia Kaatee, che più volte aveva sollecitato il governo a intervenire sulla materia, spiega che si tratta di un “diritto umano basilare delle persone esprimere la propria identità anche nei documenti ufficiali” e, inoltre, ha espresso il suo particolare apprezzamento alla volontà di “scavalcare” i medici perché “l’unico requisito che dovrebbe essere richiesto ad una persona per cambiare genere è la sua esperienza dell’identità di genere, non una diagnosi”.
Quello che non è chiaro è come mai tutti i sostenitori di questa proposta di legge possano credere – ed essere convinti – che un bambino di 7 anni possa avere la maturità e la consapevolezza di affrontare una scelta simile. Inoltre come faranno ad accertare che i minori non vengano “plagiati” dai loro genitori? Che non lo facciano solo per far contenti mamma o papà?
Preservare la spensieratezza e l’innocenza dei più piccoli: è questo che dovrebbero fare le famiglie e lo Stato. I bambini e gli adolescenti, in quanto futuro della nostra società, andrebbero tutelati. La nuova proposta di legge, che consentirà di cambiare sesso a proprio piacimento, paradossalmente potrebbe consentire di farlo anche più volte; sembra essere stata concepita non per garantire presunti “diritti”, ma per creare una confusione sempre maggiore nelle nuove generazioni.
“Essere o non essere, questo è il problema” è una delle celebri battute dell’Amleto, tratta dall’omonima tragedia di William Shakespeare, che esprime l’indecisione del protagonista. Frase che ai nostri giorni potrebbe tristemente diventare “Cosa essere?”.
L’indottrinamento è un’attività subdola, strisciante. Nei sistemi democratici non si fa sui manifesti o sui mezzi d’informazione o, almeno, non solo. Sarebbe troppo facile capire che nei principi e nei modi di vita proposti ci sono aspetti in contrasto con la nostra natura, il nostro essere. Meglio arrivare a dama di nascosto, celandosi tra le pieghe del sistema. Attraverso una legge, meglio ancora una riforma, o un atto amministrativo che si presti ad allegati mimetizzati fra articoli, commi e numeri. Così il pensiero passa e si diffonde, mutando la società inconsapevole nel suo intimo. Unoschiaffo alla libertà. E quale obiettivo migliore dei bambini? Sono innocenti, puri, imparano in fretta e, soprattutto, sono gli adulti di domani. Insegnare loro un nuovo, distorto, modo di vivere significa cambiare compiutamente la mentalità della popolazione, portandola là dove il burattinaio di turno vuole.
Così sta avvenendo, o meglio potrebbe avvenire, con la teoria del gender, quell’ideologia che pretende di discernere la sessualità dalla scelta, come se ciascuno potesse forzare la propria natura col fine di raggiungere l’omologazione, non l’uguaglianza. Il mondo, non solo quello cattolico, al di là di quanto alcuni media vanno professando, si è mosso per tutelare i minori dal possibile inserimento del gender nei programmi scolastici. Quasi un milione di persone sono scese in piazza San Giovanni, a Roma, lo scorso 20 giugno, per scongiurare questa ipotesi nella manifestazione “Difendiamo i nostri figli”. Il primo risultato ottenuto è stata la circolare n. 4321 con la quale il Miur ha invitato le scuole a informare in maniera esaustiva le famiglie sui programmi formativi, in particolare quelli extracurriculari, proposti agli studenti durante l’anno. Per orientare i genitori nella scelta, in base a quanto previsto dall’atto ministeriale, Massimo Gandolfini, presidente del comitato “Difendiamo i nostri Figli”, ha diffuso un decalogo da seguire, che vi proponiamo, per garantire la libertà di scelta.
1- Ogni genitore deve vigilare con grande attenzione sui programmi di insegnamento adottati nella scuola del proprio figlio
2- In particolare, va attentamente letto e studiato uno strumento denominato “Pof” (Piano Offerta Formativa)
3- I genitori devono utilizzare lo strumento del “consenso informato”: devono cioè dichiarare per iscritto se autorizzano, oppure no, la partecipazione del proprio figlio ad un determinato insegnamento. Il consenso va consegnato in segreteria e protocollato (obbligo di legge)
4- A questo punto si deve avere ben chiaro che gli insegnamenti scolastici sono di due tipi: “Insegnamenti curriculari”, cioè obbligatori (Italiano, matematica ecc…); “Insegnamenti extracurriculari”, cioè facoltativi, da cui è lecito ritirare il figlio
5- Nel caso di insegnamenti curriculari (ad esempio Scienze Naturali, che comprende nozioni sul corpo umano e le sue funzioni, compresa quella riproduttiva) si raccomanda ai genitori di vigilare con grande attenzione, intervenendo sul singolo insegnante e/o sul dirigente scolastico qualora scorgano impostazioni in contrasto con i propri valori morali e sociali di riferimento. Come sempre, più genitori si associano, maggiore è la forza di contrasto
6- Ad oggi l’insegnamento “Gender” è possibile soprattutto nei programmi di educazione all’affettività e alla sessualità, oppure nei percorsi di “Contrasto al bullismo e alla discriminazione di genere”. Si tratta di insegnamenti extracurriculari ed è in particolare a questi che si deve prestare speciale e massima attenzione
7- Il consenso/dissenso deve essere formulato per ciascun singolo percorso/progetto/insegnamento (non deve essere generico), va depositato in segreteria e deve essere protocollato
8- Il genitore ha il diritto di chiedere tutti i chiarimenti che vuole, coinvolgendo ogni istituzione scolastica, ad ogni livello: consiglio di classe, di istituto, dei professori, dirigente scolastico/preside
9- Si raccomanda di informare e coinvolgere le associazioni dei genitori: Age –segreteria.nazionale@age.it; Agesc – segreteria.nazionale@agesc.it
10- L’articolo 30 della Costituzione italiana e l’articolo 26 della Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo sanciscono il diritto dei genitori all’educazione ed istruzione dei figli: padri e madri hanno grandi poteri decisionali e, cercando di aggregare altre famiglie, la possibilità d’intervento sugli organismi scolastici diventa tanto più forte e positiva, soprattutto se sostenuta da un’associazione.
Un vademecum da seguire passo dopo passo. Ricordando che in ballo non ci sono principi morali e religiosi ma il più laico e universale dei diritti umani: la libertà.
Chi nega questo, nega alla radice l’esistenza dell’ideologia gender, che sarebbe un’invenzione dei “catto-fascisti omofobi”: a costoro abbiamo risposto in altra sede.
Qui andiamo a ribadire, non solo che l’ideologia gender esiste, ma che è il totalitarismo del XXI secolo. Lo ha detto anche il Papa. Sarebbe d’accordo con noi anche Hanna Arendt, una delle studiose più autorevoli in tema di totalitarismi.
Non serviva vivere in URSS, nel XX secolo, per sperimentare la prepotenza e la violenza di quella che alcuni hanno definito “l’inquisizione rossa”. bastava frequentare un qualsiasi liceo statale per vedere messo alla gogna chiunque non abbracciasse l’ideologia marxista: ai professori e ai presidi venivano bruciate le macchine, gli studenti venivano fatti oggetto di violenza cruda e non solo verbale.
Non c’era alternativa: o ci si schierava dalla parte dei “buoni” compagni, o si era automaticamente etichettati e ghettizzati (come minimo) come biechi fascisti (e ricordiamo che “uccidere un fascista non è reato”, così insegnavano alcuni docenti di lettere alla scuola media…).
Oggi si respira lo stesso clima a proposito dell’omosessualismo e del gender. Basta ormai dire che il gender confonde le menti dei ragazzini per essere tacciati di omofobia.
Tempi ci fa notare come il “genderismo” abbia tutti i requisiti che deve avere ogni totalitarismo, secondo una studiosa che davvero se ne intendeva come Hannah Arendt:
– l’ideologia,
– la massa da indottrinare,
– la polizia politica per tacitare chiunque dovesse resistere all’indottrinamento.
“L’ideologia gender integra perfettamente tutti e tre gli elementi previsti dalla Arendt:
– è una ideologia in quanto alla unitaria e naturale (vera, reale e concreta, NDR) sessuazione umana secondo il dimorfismo maschile/femminile sostituisce la scomposizione della frastagliata galassia dei generi di matrice costruzionista, cioè forgiata dall’insieme di volontà individuale e sociale (irreale, NDR);
– sfrutta intere masse da indottrinare, specialmente tramite manifestazioni di piazza, social networks, pubblicità, campagne stampa e televisive monotematiche;
– utilizza sistemi da “polizia politica”, poiché immediatamente accusa e condanna di omofobia ed intolleranzachiunque non si pieghi ai dettami del genderismo, come accaduto per esempio nel caso Barilla”.
Come ogni totalitarismo esige «Una dedizione e fedeltà incondizionata e illimitata […]. La fedeltà totale è possibile soltanto quando è svuotata di ogni contenuto concreto, da cui potrebbero naturalmente derivare mutamenti d’opinione» (H Arendt). Perciò si sanziona anche chi solo osa rilevare la banale verità, cioè che si è maschi o femmina e che per fare i figli e per il loro bene servono mamma e papà.
Prosegue Vitale, su Tempi, : “Reclamando la libertà di definire la propria identità, si contempla all’un tempo la negazione della altrui libertà di coscienza e di espressione come dimostra, tra i tanti casi citabili, il caso di don Emiliano De Mitri il cui profilo Facebook è stato censurato per aver egli dichiarato che non avrebbe rilasciato nulla osta per padrini e madrine di battesimo e cresima a coloro che, all’indomani della sentenza della Corte Suprema statunitense sulla “liberalizzazione” del same-sex marriage, avrebbero arcobalenizzato l’immagine del proprio profilo Facebook in sostegno della suddetta sentenza.
Il grottesco viene in essere allorquando si legge proprio la suddetta sentenza in cui la Corte Suprema che da un lato legalizza il matrimonio tra persone del medesimo sesso, dall’altro lato così sancisce: «Si deve mettere in evidenza che le religioni e coloro che aderiscono a dottrine religiose possono continuare a sostenere con la massima e sincera convinzione che in base ai precetti divini l’unione dello stesso sesso non può essere tollerata. Il primo emendamento garantisce che alle persone e alle organizzazioni religiose è data adeguata protezione per l’insegnamento dei principi così centrali nelle proprie vite e fedi e alle loro profonde aspirazioni a dar seguito alla struttura familiare che essi hanno a lungo osservato»”.
Dovrebbe spiegarlo, la buona Corte Suprema a Aaron e Melissa Klein, Jack Phillips, Daniel McArthur e la moglie Amy, Cynthia e Robert Gifford, Hezelmary e Peter Bull, Barronelle Stutzman, Paul Barnes , Crystal e Kevin O’Connor, e a tanti altri: cioè a tutte quelle persone che stanno soffrendo le conseguenze repressive derivanti dalla legislazione omosessualista e genderista americana grazie alla quale chi non partecipa e non collabora con l’organizzazione e la celebrazione dei matrimoni gay subisce multe salatissime e boicottaggio violento, tanto da dover chiudere la propria attività commerciale.
Ultimamente una grande questione divide politici, intellettuali, associazioni e gente comune: l’esistenza della cosiddetta “teoria gender “. E di conseguenza, se sia reale o meno la sua introduzione nelle scuole di ogni ordine e grado.
Gender o no gender, questo è il problema.
I negazionisti del gender sostengono che la famosa “teoria” sia in realtà una invenzione di coloro che pretendono di combatterla. Forse perché questi ultimi interpreterebbero male i cosiddetti “studi di genere”. Forse perché deformerebbero volontariamente certe visioni, attribuendole al variegato mondo LGBT, in modo da avere nemico più facile da combattere e da demonizzare (il noto argomento dell’”uomo di paglia”).
Alcuni si spingono fino a dire che la teoria di genere sarebbe stata creata, per le finalità di cui sopra, in qualche stanza segreta del Vaticano …
Visto che l’argomento è di grandissimo interesse, è venuto il momento di fare un tentativo di esporre in modo più chiaro possibile le ragioni che stanno dietro alla posizione di chi sostiene l’esistenza della teoria e denuncia il fatto della sua promozione da parte di alcune istituzioni e all’interno di alcune scuole.
Divideremo l’esposizione in tre parti:
Cosa intendiamo con l’espressione “teoria gender”?
Esiste tale teoria (altrove che nella mente di coloro che pretendono di combatterla)? viene promossa da qualche istituzione?
La teoria di genere viene introdotta in qualche modo nelle nostre scuole?
Parte I. Cosa intendiamo con l’espressione “teoria gender”?
Sembra che l’espressione non sia univoca e non sia sempre descritta negli stessi termini anche da coloro che la criticano. Bisogna stare attenti a non semplificare eccessivamente i termini della questione. Ad esempio, dire che “la teoria gender elimina ogni differenza tra maschio e femmina” oppure che per essa “non esiste il sesso ma il genere”, sarebbe semplicistico e impreciso.
Alcuni obiettano, come accennato, che in ogni caso si deve parlare solo di “studi di genere” e non di “teoria” di genere.
In verità, non si capisce il perché di tutta questa avversione per il termine “teoria”. Sarebbe infatti inverosimile ritenere che gli “studiosi” di genere si limitino a “studiare” e non abbiano avanzato nessuna tesi organica, nessun insieme di conclusioni coerente, nessuna (appunto) teoria.
Per il vocabolario Treccani, una “teoria” è una “Formulazione logicamente coerente di un insieme di definizioni, principî e leggi generali che consente di descrivere, interpretare, classificare, spiegare, a varî livelli di generalità, aspetti della realtà naturale e sociale, e delle varie forme di attività umana. In genere le teorie stabiliscono il vocabolario stesso mediante il quale descrivono i fenomeni e gli oggetti indagati …”.
Altri vocabolari danno definizioni ancora più ampie: “modo di pensare, opinione, pensiero; idea, concezione …”.
Ora, come vedremo, coloro che coltivano o applicano gli studi di genere formulano una serie di definizioni(“genere”, “identità di genere”, “ruolo di genere”, ecc.), di principi (distinzione tra sesso e genere, derivazione culturale del genere, prevalenza dell’identità di genere, ecc.) che consentono a loro avviso di interpretare aspetti della realtà naturale e sociale e delle attività umane (differenze/disparità tra donne e uomini, discriminazioni di genere, stereotipi di genere, transizioni di genere, ecc.).
Dunque, una teoria, o delle teorie.
Questa teoria o queste teorie, vengono denominate “di genere” (o “gender”, dal termine inglese) perché si basano sulle nozioni di “genere”, come distinto dal sesso biologico, di “identità di genere”, di “ruolo di genere”, ecc. In modo analogo, dal punto di vista linguistico, si parla di teoria “dell’evoluzione” perché si basa sul concetto dell’evoluzione delle specie, o di teoria della “relatività” perché si basa sulla relatività dello spazio/tempo, ecc.
E’ quindi corretto dal punto di vista linguistico, e coerente dal punto di vista logico, parlare di “teoria/teorie di genere”.
Si può riconoscere che non tutti quelli che applicano gli “studi di genere” hanno esattamente la stessa visione su tutte le questioni. Da questo punto di vista sarebbe forse più proprio parlare di “teorie di genere” al plurale.
Nonostante ciò il ricorso all’espressione singolare “teoria di genere” rimane legittimo perché è possibile individuare un “nucleo duro” sotto le diverse prospettive. In modo simile si parla ad esempio di “teoria dell’evoluzione” al singolare, malgrado la indubbia diversità di “teorie” sui meccanismi o sulla storia dell’evoluzione delle specie, poiché alcuni concetti e principi di fondo rimangono gli stessi (ad esempio il fatto e la possibilità della transizione naturalistica da una specie all’altra).
Mutatis mutandis, anche le teorie di genere hanno un fondamento comune: la teoria gender ha il suo “cuore” che giustifica l’utilizzazione dell’espressione al singolare.
La teoria prende le mosse dalla distinzione tra sesso biologico e “genere”. Questa prima distinzione è importante. Infatti il “genere” non ha una derivazione naturale-biologica ma culturale, e si potrebbe definire come un insieme di ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini.
La teoria di genere, anzitutto, riduce drasticamente (fino ad annullare) il peso che ha il sesso biologico nella determinazione dei ruoli, comportamenti e attributiche vengono considerati appropriati per uomini e donne. Proprio perché questo insieme di ruoli, comportamenti e attributi costituisce il “genere”, ed esso è un fatto di culturanon di natura. Nelle sue forme più pure, la teoria considera che nessun ruolo, comportamento o aspetto psicologico, considerato tipico degli uomini o delle donne, trovi una base reale nella natura sessuata dell’essere umano.
Il sesso biologico sarebbe (o dovrebbe essere) sostanzialmente indifferente rispetto alla costruzione dell’identità psicologica e del ruolo familiare e sociale di una persona.
Si introduce quindi la definizione di “identità di genere”, cioè la percezione profonda che un soggetto ha di appartenere a un genere piuttosto che a un altro (uomo, donna, o di solito, anche altri), indipendentemente dal proprio sesso biologico. A questa identità di genere (anche questo è un punto essenziale della teoria) si attribuisce una certa prevalenza sul sesso biologico.
Questa prevalenza dell’identità di genere sul sesso biologico non è da tutti intesa allo stesso modo: per alcuni (più radicali) sarebbe solo l’identità di genere e non il sesso biologico che permetterebbe di rispondere alla domanda “Sono uomo? Sono donna? (Sono altro?)”. In altre parole basterebbe l’auto-percezione di essere donna/uomo/altro, per essere veramente donna/uomo/altro, anche se il sesso biologico indica il contrario. In questa prospettiva l’identità “transgender” (identità di genere contrastante con il sesso biologico) non viene considerata come intrinsecamente problematica, e infatti molti ne auspicano la depatologizzazione, richiedendo la rimozione della “disforia di genere” dalle classificazioni nazionali e internazionali di patologie.
Per altri invece (forse meno radicali) il contrasto tra identità di genere e sesso biologico rimane un problema, ma questo problema si deve risolvere a beneficio dell’identità di genere. In altre parole, in casi di disforia di genere, il problema non si risolverebbe aiutando la mente a armonizzarsi con la realtà corporale, ma all’opposto modificando il corpo perché si accordi il più possibile con la percezione psicologica. Si tratta in questo caso non tanto della normalizzazione del “transgenderismo” (come nella prima prospettiva) ma della normalizzazione del “transessualismo”. In entrambi i casi però ritroviamo la prevalenza dell’identità di genere sul sesso biologico.
Alcune delle conseguenze immediate di questi principi generali della teoria gender, che si ritrovano sostanzialmente in tutte le sue forme, sono le seguenti:
– essendo il sesso biologico praticamente ininfluente dal punto di vista psicologico e sociale, anche nella società familiare il sesso biologico è indifferente. Infatti proprio l’ambito della famiglia è quello maggiormente toccato dalla teoria gender, in quanto esso rappresenta (secondo una corretta impostazione antropologica e morale) il contesto sociale in cui il sesso biologico ha (e dovrebbe avere) maggiore rilevanza. Secondo la prospettiva gender sarebbe quindi indifferente che la famiglia sia composta da un uomo e da una donna, oppure da due uomini o da due donne.
– i comportamenti e i ruoli tipicamente maschili e femminili sono tendenzialmente tutti considerati “stereotipi”. Qui è bene intendersi: riconosciamo senza problemi che esistono stereotipi negativi che riguardano il maschile e il femminile (ad esempio il modello di uomo e donna della TV e della pubblicità: donna magra, sexy, che vale solo per le sue apparenze fisiche; uomo muscoloso, infedele, ecc.). Il problema è che la teoria di genere, volendo (o pretendendo) di combattere i cattivi stereotipi, finisce per cadere nell’estremo opposto: tutti i ruoli e comportamenti “maschili” e “femminili” sarebbero stereotipi culturali, imposti dalla società o dalla famiglia, da decostruire.
A questo punto comincio già a sentire l’obiezione, l’eterno ritornello: “Tutto questo l’avete inventato voi!”.
In effetti, non ho ancora mostrato che tutta questa “bella” teoria viene promossa e applicata per davvero, addirittura da importanti enti ed istituzioni. Forse è tutta una invenzione degli integralisti pro-life, medievali e complottisti (nonché omofobi e transfobici).
Parte II. Esiste la teoria gender? viene promossa da qualche Istituzione?
Premessa: cercheremo di procedere in modo rigoroso, rimandando ove possibile ai documenti autentici e ufficiali. In questa seconda parte mostreremo come la “teoria gender”, espressione di cui abbiamo spiegato la legittimità e il significato nella prima parte, esista effettivamente, e non solo nelle menti di coloro che la denunciano e pretendono di combatterla. Anzi, viene elaborata o promossa non solo da alcuni ideologi o “studiosi di genere”, ma anche da importanti istituzioni.
Riscontreremo negli atti e documenti istituzionali, e nei progetti destinati alle scuole, le definizioni e i principi propri della teoria gender, oppure anche le conseguenze teoriche e pratiche in quanto derivano o sono collegate contestualmente a quelle definizioni e a quei principi.
le definizioni di “genere” (distinto dal sesso biologico) e di “identità di genere”;
il principio della sostanziale indifferenza del sesso biologico rispetto alla costruzione dell’identità psicologica e del ruolo familiare e sociale di una persona;
il principio della prevalenza dell’identità di genere sul sesso biologico;
… e alcune delle conseguenze tipiche della teoria, che spesso si ritrovano nei documenti, in quanto collegate ai suddetti principi e definizioni:
la qualificazione come stereotipi culturali di genere di praticamente tutti i comportamenti e i ruoli considerati tipicamente maschili o femminili;
la normalità e promozione delle diverse famiglie omogenitoriali;
la normalità e promozione dei diversi orientamenti sessuali (in particolare l’omosessualità).
Cominciamo con le citazioni di alcuni autori, studiosi di genere, senza avere la pretesa di esporre nemmeno parzialmente la storia della teoria di genere.
Nel 1955 i medici John Money, Joan Hampson e John Hampson, della John Hopkins University, introducono nella letteratura medica il termine “gender”. Money, nel suo Amore e mal d’amore (Feltrinelli, Milano 1983, p.298-299) formula le seguenti definizioni: il “genere” è “stato personale, sociale e legale di maschio, femmina o misto definito in base a criteri somatici e comportamentali più generali del semplice criterio genitale. (…) L’identità di genere è il vissuto privato del ruolo di genere, il ruolo di genere è la manifestazione pubblica dell’identità di genere di maschio, femmina o di individuo ambivalente (…) quale viene vissuta in particolare nell’immagine di sé e nel comportamento”. Ancora: “L’identità / ruolo di genere comprende tutto ciò che ha a che fare con le differenze comportamentali e psicologiche tra i sessi, indipendentemente dal fatto che siano intrinsecamente o estrinsecamente legate ai genitali”(p. 32-33).
Famoso è l’esperimento condotto da J. Money sui gemelli Reimer proprio per dimostrare l’assunto che il “gender”, comprendente gli aspetti psicologici, comportamentali e sociali, sarebbe una costruzione puramente culturale e sociale, indipendente dal sesso biologico. Non ci soffermiamo sulla questione, trattata tante volte su questo sito.
Su questa linea di pensiero si innesta a un certo punto la cultura femminista più radicale. Simone de Beauvoir, pronuncia quelle parole ormai famose, nel Secondo sesso (Il Saggiatore, Milano 2002, p.325): “Donna non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell’uomo; è l’insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna.”
Particolarmente esplicito è il pensiero della femminista Shulamith Firestone, nella Dialettica dei sessi (Guaraldi, Firenze 1974, p.12): “Il fine ultimo della rivoluzione femminista non consiste nell’eliminazione dei privilegi, ma nella stessa cancellazione delle distinzioni tra i sessi (…) Si ci sbarazzassimo della famiglia ci sbarazzeremmo anche delle repressioni che vedono la sessualità posta in formazioni specifiche. (…) Il nostro passo finale deve esserel’eliminazione della stessa condizione di femminilità e di infanzia.”
Sempre nel contesto del femminismo, concetti tipici del pensiero gender si trovano anche nel Cyborg Manifesto (1985) di Donna Haraway: “Non c’è nulla nell’essere “femmine” che vincoli naturalmente le donne. Non esiste nemmeno qualcosa come “essere” femmine, in sé una categoria altamente complessa, costruita da controversi discorsi scientifici sulla sessualità (…) La consapevolezza del genere, della razza o della classe è qualcosa che ci viene imposto dalla terribile esperienza storica delle contraddittorie realtà sociali del patriarcato, del colonialismo e del capitalismo” (traduzione mia: cercare testo “There is not even such a state” al seguente link).
Una forma più matura della teoria la troviamo negli scritti di Judith Butler (nata nel 1956, ancora in vita), tra i più importanti esponenti contemporanei della “Gender Theory” e della “Queer Theory”. In Gender trouble. Feminism and the subversion of identity (Routledge, New York 2007, p.7) afferma: “Il genere è costruito socialmente, non è né il risultato casuale del sesso né sembra essere fisso come il sesso. Se il genere rappresenta il significato culturale che assume il corpo sessuato, allora non si può più dire che il genere derivi dal sesso in nessun modo. Portata alle logiche conseguenze, la distinzione sesso/genere suggerisce una discontinuità radicale tra i corpi sessuati e i generi costruiti socialmente.”
In una intervista del 2013 al Nouvel Observateur, Judith Butler precisa di non aver inventato lei gli “studi di genere” e aggiunge: “La nozione di “genere” viene utilizzata dopo gli anni 1960 negli Stati Uniti in sociologia e antropologia. In Francia, in particolare sotto l’influsso di Lévi-Strauss, si è preferito per lungo tempo parlare di “differenze sessuali”. Negli anni ’80 e ’90, l’incrocio tra la tradizione antropologica americana e lo strutturalismo francese ha fatto nascere la teoria di genere (…) Noi non abbiamo mai una relazione semplice, trasparente e innegabile con il sesso biologico. Dobbiamo passare attraverso un quadro discorsivo, ed è questo il processo che interessa la teoria di genere [théorie du genre].”
Noto en passant che nel mondo anglosassone e francese, i cultori degli studi di genere (si veda per altri esempi qui e qui) non si fanno tanti problemi a utilizzare l’espressione “gender theory”, “théorie du genre” (cioè “teoria di genere”) o “gender theorist”(“teorico di genere”), contrariamente a quel che succede da noi dove, per motivi misteriosi e ingiustificati, l’espressione viene rifiutata quasi con orrore (spesso proprio da coloro che la promuovono).
Col passare degli anni e a causa di meccanismi che non ci interessa in questo momento approfondire, queste tesi vengono recepite in documenti provenienti da istituzioni internazionali e nazionali. Limitiamo il nostro discorso ai tempi più recenti.
Tra i documenti internazionali che introducono abbastanza chiaramente la prospettiva gender possiamo sicuramente menzionare la Convenzione di Istanbul del 2011. Il tema affrontato è quello del contrasto della violenza contro le donne, finalità ovviamente condivisibile. Tuttavia questa finalità viene attuata in un contesto che risente della teoria di genere e delle posizioni del femminismo radicale. Nel preambolo si legge: “Riconoscendo la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere, e riconoscendo altresì che la violenza contro le donne è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini”. A scanso di equivoci si definisce il termine “genere”: “Articolo 3. Definizioni. (…) (c) con il termine “genere” ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini”. Inoltre si precisa all’art. 4 che l’attuazione delle disposizioni della Convenzione “deve essere garantita senza alcuna discriminazione fondata sul sesso, sul genere, sulla razza, sul colore (…) sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere, ecc.”
Il documento internazionale che forse più chiaramente promuove la teoria di genere è una recente Risoluzione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, approvata lo scorso 22 aprile 2015, intitolata: “Discriminazione contro le persone transgender in Europa“. Al paragrafo 6.2.1 della Risoluzione si chiede agli Stati di prevedere“procedure rapide, trasparenti e accessibili, basate sull’autodeterminazione, per cambiare il nome e il sesso anagrafico delle persone transgender sui certificati di nascita, carte d’identità, (ecc. …)”. A paragrafo 6.2.4 si chiede agli Stati di “considerare l’introduzione di un’opzione al terzo genere sulle carte d’identità per coloro che lo richiedono”. Al 6.3.3 si chiede di “correggere le classificazioni di patologie utilizzate a livello nazionale e promuovere la revisione delle classificazioni internazionali, in modo da garantire che le persone transgender, inclusi i bambini, non siano considerati come affetti da patologia mentale“.
La Risoluzione chiede, in sostanza, che venga depatologizzata la “disforia di genere”: infatti secondo l’interpretazione più estrema (e pura) del principio dell’indifferenza del sesso biologico, il contrasto tra questo e l’identità di genere non è necessariamente problematico, perché il sesso biologico è indipendente dal profilo psicologico. L’identità transgender non sarebbe patologica. Inoltre per (l’interpretazione più radicale del) principio della prevalenza dell’identità di genere sul sesso biologico, la sola identità di genere sarebbe sufficiente per essere pubblicamente identificato in base al genere percepito (attraverso delle procedure legali rapide e semplici basate sulla autodeterminazione, auspicate dalla Risoluzione), nonostante il sesso biologico contrario.
La Risoluzione ci regala un’altra perla gender. Al paragrafo 5: “L’Assemblea guarda con favore all’emergere deldiritto all’identità di genere, per prima riconosciuto nella legislazione di Malta, che assicura a ogni individuo il diritto al riconoscimento della propria identità di genere, e il diritto a essere identificati e trattati in armonia con questa identità“. A quanto pare, emerge un nuovo diritto umano all’identità di genere. Concretamente, se, ad esempio, una persona che è geneticamente, morfologicamente, neurologicamente, insomma, biologicamente uomo, si percepisse come “donna” (identità transgender), avrebbe il diritto di essere riconosciuto e trattato da tutti come donna. Altrimenti si commetterebbe nei suoi confronti una “discriminazione” sulla base dell’identità di genere e una violazione del nuovo diritto umano (emergente).
Chiarissimo. Per rendere il tutto ancora più chiaro, si può anche consultare il Rapporto esplicativo della Risoluzione che a p.5 ci fornisce tutte le definizioni necessarie (“transgender”, “identità di genere”, ecc.). Il rapporto nota con grande soddisfazione (p.13, n. 57) che l’11 giugno 2014 il Parlamento danese ha approvato delle procedure di riconoscimento del genere che hanno reso la Danimarca “il primo paese in Europa a basare il riconoscimento legale del genere esclusivamente sull’autodeterminazione della persona transgender.”
E’ interessante rilevare che su 7 rappresentanti italiani al Consiglio d’Europa, ben 6 hanno votato a favore si questa Risoluzione ispirata alla più pura teoria del gender (vedi a questo link). Solo un voto contrario. Tutti sono anche deputati o senatori nel Parlamento italiano (due del Pd, tre del M5S; unico voto contrario di un senatore della Lega Nord).
Queste posizioni dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa costituiscono la recezione a livello istituzionale di tesi promosse da associazioni LGBT, o specificamente transgender (come “Transgender Europe“), ma anche da rilevantissime associazioni che operano a livello internazionale per i cosiddetti “diritti umani”.
Si pensi a Amnesty International:questa associazione promuove da anni le tesi più radicali della teoria gender. Per convincersene basta leggere la “Dichiarazione programmatica di Amnesty International sui diritti delle persone transgender“. In questa dichiarazione troviamo tra l’altro una definizione particolarmente ampia di “transgender” (p. 1): “persone la cui identità di genere e/o espressione di genere è differente dalle aspettative convenzionali basate sul sesso biologico assegnato loro alla nascita (…) non tutte le persone transgender si identificano come maschi o femmine; il termine transgender può comprendere persone che appartengono al terzo genere, nonché persone che si identificano con più di un genere o con nessuno (…) Questa definizione include, tra le altre, persone transgender e transessuali, travestiti, crossdresser, no gender, liminal gender, multigender e queer, nonché persone intersessuate e dal genere variabile…”.
Tutti questi “gender”, del resto, sarebbero perfettamente normali e non patologici, in quanto anche Amnesty (a p. 5 e 6) promuove la depatologizzazione di ogni identità transgender. Il documento ovviamente dà per scontata l’assoluta normalità delle famiglie omogenitoriali e dell’orientamento omosessuale (che possono derivare del resto da una transizione di genere).
E’ indicativo che questo documento gender di Amnesty sia reperibile alla sezione “risorse utili” del sitodedicato alla scuola(nel contesto del progetto “Scuole attive contro l’omofobia e la transfobia”). Approfondiremo quest’aspetto nella terza parte del nostro studio.
La teoria gender, promossa a livello internazionale, non poteva che introdursi in qualche modo, sia per via culturale che istituzionale, anche in Italia.
Lasciando da parte per il momento le associazioni, a livello istituzionale non si può non menzionare l’attivismo dell’UNAR in questo senso. L’UNAR è l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, istituito con decreto legislativo del 9 luglio 2003, n. 215, all’interno del Dipartimento delle Pari Opportunità (Presidenza del Consiglio dei Ministri). Nonostante il nome (e il principio di legalità) l’UNAR si occupa spesso di questioni LGBT e ha emanato diversi documenti ispirati alla teoria gender.
Anzitutto le definizioni (a p. 7: identità di genere, ruolo di genere; e poi nel glossario da p. 24: transgender, queer, omonegatività, ecc.). La definizione di “identità di genere” a p. 7 fa già capire l’adesione al principio dell’indifferenza del sesso biologico, rispetto a ciò che costituisce l’uomo e la donna nel senso più profondo, e al principio della prevalenza dell’identità di genere sul sesso biologico: “Identità di genere è il senso intimo, profondo e soggettivo di appartenenza alle categorie sociali e culturali di uomo e donna, ovvero ciò che permette a un individuo di dire: “Io sono un uomo, io sono una donna”, indipendentemente dal sesso anatomico di nascita.”
Il secondo principio è ancora esemplarmente espresso alla p. 12, rispetto al caso della transessualità: “Per la transessualità vale il principio dell’identità. Se la persona di cui si parla transita dal maschile al femminile, non importa in che fase della transizione si trovi, né se si sta sottoponendo all’iter della riassegnazione chirurgicadel sesso, se lei sente di essere una donna va trattata come tale. Lo stesso vale per la transizione female to male”.
Pure le conseguenze della teoria gender sono palesi nelle “Linee guida”: la promozione dei modelli familiari omogenitoriali è evidente dalle pp. 14 a 18, e la normalizzazione dell’omosessualità (e della transessualità) si rileva in tutto il documento. Anche la considerazione dei comportamenti tipicamente maschili o femminili come meri stereotipi che non hanno mai una base naturale ma sarebbero solo costruzioni sociali, si riscontra ad esempio nella definizione di “ruolo di genere” alle pp. 7-8.
Lo stesso UNAR ha emanato la famosa “Strategia nazionale per il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”. Questa riguarda anche la scuola, ed è quindi oggetto della terza e ultima parte di questo studio. Parte in cui mostreremo come, anche in Italia, la teoria gender si sia infiltrata all’interno del sistema scolastico: strategie nazionali, progetti, materiale didattico, fiabe per bambini.
Solo educazione al rispetto delle diversità, contro il bullismo e le discriminazioni, oppure promozione della teoria gender?
Parte III. La teoria gender viene introdotta in qualche modo nelle nostre scuole?
Molte direttive, iniziative e progetti rivolti alle scuole hanno per oggetto l’educazione alla parità di genere, la lotta al bullismo omofobico, il contrasto alle discriminazioni, l’educazione al rispetto delle diversità. Queste finalità potrebbero apparire condivisibili. Tuttavia, molti denunciano il fatto che i mezzi indicati per raggiungere finalità come la lotta al bullismo e il rispetto delle diversità si ispirino alla teoria gender, così come sarebbe ispirato al gender il quadro teoricosottostante. Infine le finalità stesse sarebbero almeno parzialmente viziate da un riferimento di natura ideologica.
Vediamo dunque se le definizioni, i principi e le conseguenze della teoria gender si possono riconoscere in alcuni progetti destinati alle scuole, di ogni ordine e grado: progetti che qualche volta sono stati già applicati, altre volte sono stati solo proposti.
Si tenga a mente che, nelle scuole, l’infiltrazione della teoria gender sembra avvenire a volte in modo più subdolo e meno chiaro. Può capitare di trovare in certi progetti espressioni tipiche della teoria gender, eppure non trovare chiaramente espressi i principi della teoria: ad esempio, non tutti i progetti che criticano “gli stereotipi” riguardanti il maschile e il femminile sono chiaramente riconducibili alla prospettiva di genere (benché in generale la tendenza sia proprio quella).
In Italia, una certa importanza in questo contesto deve essere attribuita a un documento dell’UNAR (di cui abbiamo parlato) che è la “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere“. La Strategia, da implementare dal 2013 al 2015, poggia su quattro assi: educazione e istruzione; lavoro; sicurezza e carceri; comunicazione e media. Ci interessa soprattutto il primo. Per redigere il documento l’UNAR si è avvalso di un “Gruppo nazionale di lavoro LGBT”, con funzioni consultive, che comprende tutte associazioni, ovviamente, rigorosamente LGBT. Ad esempio il Circolo omosessuale “Mario Mieli” e associazioni transgender come il Movimento Identità Transessuale e il Consultorio Transgenere. La “Strategia nazionale” comprende un glossario (pp. 46 e ss.) con le definizioni tipicamente alla base della teoria gender: genere; identità di genere (“la percezione di sé come maschio o come femmina o in una condizione non definita”); ruolo di genere; queer; transgender; ecc..
Il documento sembra riconoscere il disturbo da identità di genere e quindi, da questo punto di vista, non sembra far propria la versione più “radicale” della teoria gender, ma parla a più riprese del sostegno ai processi di “transizione di genere” (pp. 16 e 36). Analizzando la parte dedicata alle scuole, troviamo affermazioni proprie della prospettiva gender: a fondamento del bullismo omofobico e transfobico ci sarebbe una “cultura che prevede soltanto una visione eteronormativa e modelli di sessualità e norme di genere“ (p. 20); tra gli obiettivi ci sono quelli di “favorire l’empowerment delle persone LGBT [quindi anche transessuali e transgender, come si specifica a p. 47] nelle scuole, sia tra gli insegnanti che tra gli alunni”, e di “contribuire alla conoscenza delle nuove realtà familiari, superare il pregiudizio legato all’orientamento affettivo dei genitori (ecc.)” (p. 22); tra le misure concrete proposte:“integrazione delle materie antidiscriminatorie nei curricula scolastici (…) con un particolare focus sui temi LGBT“,“accreditamento delle associazioni LGBT, presso il MIUR, in qualità di enti di formazione“ (p. 23).
Abbiamo già parlato nella parte precedente della “Dichiarazione programmatica di Amnesty International sui diritti delle persone transgender“, ispirata alla più radicale teoria gender, e come essa fosse reperibile alla sezione “risorse utili” del sito dedicato alla scuola, nel contesto del progetto “Scuole attive contro l’omofobia e la transfobia”. Un estratto della “Dichiarazione” si trova anche nella guida per docenti “Diritti LGBTI, diritti umani” (a p. 60), di questo progetto rivolto alle scuole secondarie. Nella “guida” troviamo che le definizioni, i principi e le conseguenze della teoria gender sono ricorrenti: oltre al solito glossario gender (p. 47), che riporta una definizione eloquente di “transgender” (“Termine “ombrello” per indicare in senso generale una persona in cui identità biologica, socio-culturale e psicologica non coincidono. In senso ristretto, indica una persona che rifiuta lo “stereotipo di genere”, la suddivisione binaria in maschile e femminile, non identificandosi con nessuno dei due”), a p. 4 vengono ricordate alcune richieste di Amnesty International al Governo italiano, tra le quali: “Eliminare ogni forma di discriminazione nella legislazione sul matrimonio civile, prevedendo il matrimonio per le coppie omosessuali (…) Garantire che gli atti dello stato civile e tutti i principali documenti siano modificabili per rappresentare adeguatamente l’identità di genere“; a p. 34 vengono previste attività da svolgere con gli allievi che consistono nell’immedesimarsi con persone transgender; ci si propone di lottare contro gli “stereotipi” legati al genere e all’orientamento sessuale.
Riguardo a quest’ultimo aspetto, è necessario aprire una parentesi: come abbiamo detto nella prima parte di questo studio: “riconosciamo senza problemi che esistono stereotipi negativi che riguardano il maschile e il femminile (ad esempio il modello di uomo e donna della TV e della pubblicità: donna magra, sexy, che vale solo per le sue apparenze fisiche; uomo muscoloso, infedele, ecc.). Il problema è che la teoria di genere, volendo (o pretendendo) di combattere i cattivi stereotipi, finisce per cadere nell’estremo opposto: tutti i ruoli e comportamenti “maschili” e “femminili” sarebbero stereotipi culturali, imposti dalla società o dalla famiglia, da decostruire”. Anche pensare che mamma e papà abbiano ruoli specificamente differenti, e quindi insostituibili, sarebbe uno stereotipo di genere.
Da questo punto di vista, riconoscere la normalità delle “famiglie” cosiddette “omogenitoriali”, parificandole alla famiglia naturale uomo-donna, costituisce già di per sé un’adesione a uno dei principi fondamentali della teoria gender: cioè che il sesso biologico non ha nessuna importanza quanto ai comportamenti, i ruoli, l’aspetto psicologico e sociale della persona.
Infatti se la differenza tra i sessi, quanto ai comportamenti e ai ruoli, non ha importanza nella famiglia, a maggior ragione non avrà importanza in nessun altro contesto sociale. Se la differenza sessuale è vista come indifferente rispetto alla dimensione familiare (che è la prima dimensione sociale!) e rispetto al profilo psicologico delle persone nella famiglia (ad esempio lo sviluppo psicologico dei bambini), la differenza sessuale sarà considerata ininfluente in ogni contesto sociale. Infatti la famiglia è la società che in modo più immediato è collegata alla sessualità.
Siamo i primi a dire che la cultura giochi una parte, anche importante, nella formazione dei ruoli sociali e dei comportamenti tendenzialmente attribuiti a uomini o a donne. Nessuno sostiene che i ruoli sociali siano esclusivamente determinati dal sesso biologico: questa è una posizione caricaturale che i teorici del gender attribuiscono qualche volta ai loro oppositori (utilizzando l’argomento dell’uomo di paglia che invece addebitano volentieri alla controparte). Tuttavia la teoria gender dimentica che, molto spesso, l’elemento naturale c’è: molti comportamenti tipicamente maschili e femminili sono tali perché trovano (non una determinazione ma) un fondamentonella natura bio-psicologica dei sessi (il dimorfismo sessuale esiste anche a livello dell’encefalo, con conseguenze sul profilo psicologico e quindi sui comportamenti). (Altre volte invece l’elemento culturale è diretto semplicemente ad esprimere simbolicamente la differenza sessuale, e ciò non è sempre una “imposizione malvagia”).
Se, ad esempio, le femmine scelgono tendenzialmente giochi o lavori diversi dai maschi, questo fatto non è attribuibile semplicemente a uno stereotipo culturale da decostruire (come vorrebbe il gender): ci sono infatti lavori (come quelli che coinvolgono maggiormente la relazione interpersonale. es. infermiera) che realizzano attitudini naturali più tipiche delle femmine; così come ci sono lavori incentrati maggiormente sui meccanismi (es. ingegneria) che realizzano attitudini più tipiche dei maschi. Questo non vuol dire che una femmina non possa fare l’ingegnere o che un maschio non possa fare l’infermiere: vuol dire però che se ci sono proporzionalmente più maschi interessati ai meccanismi e più femmine interessate alla cura delle persone, questo fatto non rappresenta necessariamente una “imposizione culturale” come il gender vuole farci credere, ma lo sviluppo spontaneo di tendenze naturali (come dimostrano, tra gli altri, gli studi del dott. Lippa).
Queste tendenze naturali hanno una importanza ancora maggiore nella società familiare (ed è in questo contesto che la teoria gender commette gli errori più gravi) perché è in questa che la differenza sessuale ha maggior peso: essa è sia essenziale per la genesi della famiglia (generazione tra sessi diversi) che importante per lo sviluppo dei membri della famiglia: il ruolo materno è diverso dal ruolo paterno sia dal punto di vista biologico(specialmente nelle fasi iniziali del rapporto madre-bambino: gestazione, allattamento, ecc.) che dal punto di vista psicologico. Evidentemente, non ogni comportamento tipicamente attribuito a mamma o a papà è “naturale” (lavare i piatti, ecc.) ma ciò non vuol dire che nessun comportamento tipico abbia fondamento nella natura dei sessi.
Se quindi vengono considerati come stereotipi non solo quelli genericamente proposti dalla TV e dalla pubblicità (i veri cattivi stereotipi) ma anche la composizione uomo-donna nella famiglia, e ogni differenza tra il ruolo materno e paterno, allora ci troveremo di fronte a una chiara espressione della teoria gender. Così anche se ognicomportamento tendenzialmente maschile o femminile viene considerato uno stereotipo di genere, da decostruire: cioè se ogni comportamento considerato tipicamente maschile o femminile viene ricondotto esclusivamente a un condizionamento culturale.
Un esempio abbastanza chiaro di questa tendenza a oltrepassare i veri cattivi stereotipi per cadere nelle esagerazioni della teoria gender lo troviamo, tra i tanti esempi che si potrebbero fare, nel progetto “Dillo con parole sue”, per “contrastare la violenza di genere e il bullismo omofobico e transfobico”, applicato nelle scuole primarie e secondarie di Lentate, Cesano, Seveso e Meda (MB) nell’ottobre-novembre del 2014. A p.3 il progetto sembra riferirsi a veri stereotipi: “L’immaginario della donna fisicamente perfetta, ma un po’ “stupidina”, del maschio bello, autorevole e conquistatore uniti con un modello di società incentrata sempre di più su un sistema di bisogni indotti e pratiche soluzioni sempre acquistabili e disponibili”.
Tuttavia poi a p. 6 l’impostazione gender riguardo agli stereotipi emerge: “L’idea che si debba aderire ad un ruolo di genere precostituito per essere considerati “normali” è un ostacolo alla piena realizzazione di chi per qualsiasi ragione non vi si riconosce. Tra le aspettative sociali dell’essere maschi e femmine l’eterosessualità è forse la più forte. (…) L’orientamento sessuale eterosessuale è preferibile all’omosessualità, un’identità di genere congruente al sesso biologico è preferibile alla transessualità, poiché vengono considerati naturali e ovvi; ciò che si distanzia da questa normalità viene considerato un difetto nel binarismo di genere. Chi decide che un certo comportamento è “normale” siamo noi che, ancorati a certi principi e stereotipi, decidiamo di vivere ignorando altre realtà”. Un’impostazione quindi che abbraccia il principio (tipicamente gender) dell’indifferenza del sesso biologico rispetto all’identità psicologica: avere una identità di genere congruente oppure contrastante con il sesso biologico sarebbe ugualmente normale.
Sulla stessa linea si colloca il percorso formativo “Educare alle differenze di sviluppo sessuale, identità di genere, ruolo, orientamento affettivo sessuale e situazione familiare”, proposto da “Intersexioni”, per il personale educatore e insegnante e realizzato a Vaiano (Prato) nel gennaio 2015. Si legge che “Il percorso mira allo sviluppo di conoscenze, abilità e competenze nell’utilizzo a fini educativi dei più recenti risultati degli studi di genere, dei queer studies e dei family studies”. E’ costituito da tre moduli intitolati: “La formazione dell’identità e gli stereotipi di genere”; “Dalla famiglia alle famiglie”; “Binarismo sessuale, varianza di genere e accoglienza delle differenze”.
Nel mese di ottobre 2014, la Regione Lazio spende 120 mila euro per realizzare una serie di progetti scolastici contro l’omofobia. Il presidente della Regione Zingaretti sottolineò l’importanza della cosa anche per l’ampiezza dell’iniziativa, rivolta a ben 25 mila studenti di 50 scuole secondarie di primo e secondo grado del Lazio. Uno dei progetti si intitola“LGBT … All Right(s)!” e si propone di far acquisire a docenti e a studenti “informazioni, conoscenze, strumenti e metodologie per combattere l’omo-lesbo-transfobia e promuovere i diritti sociali per le persone LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transessuali)”, così anche trasmettere informazioni “relative ai concetti di identità di genere/sessuale, orientamenti sessuali LGBT“.
Merita di essere menzionato anche il progetto “Rainbow – Playful Toolkit” (Milano, 2012), finanziato dall’Unione Europea, che “mette in connessione associazioni gay e lesbiche europee, scuole e professionisti dei media attraverso lo studio degli stereotipie promuove il diritto di bambini e bambine, ragazze e ragazzi alla loro identità – con particolare riferimento algenere e all’orientamento sessuale …” (p. 5). Leggiamo a p. 7: “Le prescrizioni sociali sul genere (ruoli di genere) amplificano quindi le differenze tra maschi e femmine, che non sono però mai “universali”. (…) Tra le aspettative sociali relative all’essere maschi e femmine, l’eterosessualità (…) è forse la più forte”. A p. 8: “Gli stereotipi relativi al genere (…) condizionano la nostra educazione sin dalla nascita anche in riferimento alle emozioni”. A p. 9: “È importante riconoscere questa discriminazione sociale … contrastarla e superarla, dando visibilità ai tanti esempi di matrimonio omosessuale e di famiglie omogenitoriali”. Il progetto contiene inoltre dei giochi, tra i quali: “Chi resta indietro?” (pp. 18-19), in cui si chiede ai ragazzi di calarsi nei panni di un personaggio, che può essere ad esempio un“uomo gay con compagno convivente da 10 anni”, oppure un “transessuale MtF con compagn* extracomunitario”(l’asterisco è tipico del linguaggio gender, per non “discriminare” utilizzando una parola al maschile o al femminile).
Infine, i principi e le conseguenze della teoria gender hanno ispirato tutta una serie di favole rivolte a bambini molto piccoli, incluse in progetti destinati anche agli asili nido o presenti in molte biblioteche comunali nel settore infanzia.
Un esempio noto è “Nei panni di Zaff” (edizioni Fatatrac, 2005). Il libro è stato inserito in diversi progetti alla lettura: ad esempio è stato oggetto di una “lettura animata” ai bambini delle scuole primarie nel progetto “Generare culture non violente”, a Bari nel mese di novembre 2014. Racconta la storia di un bambino, potremmo dire, transgender, che vuole essere una “principessa” e che realizza felicemente il suo desiderio. Leggiamo: “Tutti gli dicevano: Ma Zaff! Tu 6 maschio. Puoi fare il re … ma la principessa proprio no. Le principesse il pisello non ce l’hanno!!”; Zaff: “E va bene, ho il pisello ma che fastidio vi dà? Lo nasconderò ben bene sotto la gonna …”. A un certo punto arriva la principessa “sul pisello”, che consegna il suo vestito a Zaff, dicendogli che potrà essere “la principessa col pisello”. “Il segreto per vivere per sempre felici e contenti: Essere ciò che sentiamo di essere senza vergognarsi mai”.
A livello delle conseguenze della teoria di genere, molte favole promuovono la normalità e la “bellezza” dell’omosessualità e, in particolare, dell’omogenitorialità. E’ il caso della favola “Perché hai due papà?” (edizioni Lo Stampatello, 2014), che è stata proposta in asili nido, ad esempio, nel Comune di Venezia e a Roma (asilo nido “Castello Incantato”, Bufalotta, novembre 2014). Si tratta della storia di una coppia gay che ricorre all’utero in affitto per avere dei bambini. Nella favola si legge: “Franco e Tommaso si amavano: volevano fare una famiglia e avere dei bambini. (…) Franco si è fatto dare un ovino nella clinica americana. (…) i dottori hanno fatto incontrare l’ovino e il semino portati da Franco e Tommaso, e li hanno messi nella pancia di Nancy: Lia ha cominciato a crescere! Lia ha due papà: nessuno dei due l’ha portata nella pancia ma entrambi, insieme, l’hanno messa al mondo. Sono i suoi genitori.” E’ preoccupante questa promozione della cosiddetta omogenitorialità verso bambini così piccoli, oltretutto giustificando e presentando come “meravigliosa” la pratica dell’utero in affitto che costituisce reato nel nostro paese.
Molti altri esempi di progetti e iniziative gender nelle sistema scolastico si possono reperire nel dossier pubblicato da ProVita su questo tema (la lista di casi però non è esaustiva).
Recenti mutamenti normativi (su questo sito abbiamo parlato spesso della “Buona scuola“) potrebbero portare a introdurre la prospettiva gender obbligatoriamente anche nelle attività curricolari.
Insomma, la teoria gender esiste, anche nelle nostre scuole.
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