In missione, giorno dopo giorno, per 76 anni

 Heleen Voorhoeve

La straordinaria storia di Heleen Voorhoeve, missionaria evangelica olandese, scomparsa ieri in Egitto a 102 anni. Dal 1937 a oggi ha svolto ininterrottamente il suo servizio educativo tra i bambini di una scuola

di Giorgio Bernardelli – Missionline 08/05/2014

 

È morta ieri all’età di 102 anni in Egitto la missionaria evangelica olandese Heleen Voorhoeve, protagonista di una storia in qualche modo da record: è stata missionaria nello stesso posto – una scuola elementare a Tima, nell’Alto Egitto – per più di settant’anni.

Era arrivata in Egitto nel 1937 per conto dell’Assemblea dei Fratelli, una congregazione evangelica che conta numerose comunità in Olanda. E dopo appena un anno e mezzo trascorso a studiare l’arabo al Cairo era giunta a Tima, una città della regione di Assiut, dove aveva preso in carico una piccola scuola elementare. Nel 1941, quando la Seconda Guerra mondiale toccò l’Africa, la sua congregazione l’invitò a rientrare in Olanda. Ma lei scelse la fedeltà a quell’Egitto a cui aveva deciso di donare la sua vita. E ha ripetuto costantemente questa scelta durante tutte le guerre e le rivoluzioni che si sono susseguite in tre quarti di secolo in Egitto.

Così per tutti – cristiani e musulmani – in un angolo periferico dell’Egitto, Heleen Voorhoeve è diventata al Sitt, la Signora. E la sua scuola elementare – dalle settanta bambine degli inizi – è arrivata a ospitare oggi mille alunni, in un centro che significativamente si chiama Nour, la Luce. Una scuola aperta a tutti nella quale questa missionaria cristianese olandese proprio con la sua fedeltà alla gente – e in particolare ai più poveri – si è guadagnata la stima di tutti, islamisti compresi. La riprova la si è avuta nell’estate scorsa quando anche la zona di Assiut è stata colpita dall’ondata di devastazioni anticristiane, ma la scuola di Tima non è stata toccata.

Un’altra delle iniziative promosse da Heleen Voorhoeve sono gli «incontri di Tabità», ispirati alla pagina del capitolo 9 degli Atti degli Apostoli nella quale Pietro ridona la vita a una discepola chiamata Tabità che era morta. Gli Atti raccontano che questa donna veniva pianta dalle vedove a cui confezionava tuniche e mantelli, come gesto di carità; proprio mosso da quel pianto Pietro disse alla salma «Tabità, alzati». Ispirandosi a questa pagina della Scrittura Hellen Voorhoeve ha dato vita, già a partire dagli anni Cinquanta, a corsi di sartoria per le donne più bisognose di Tima. Un modo per donare anche a loro un’occasione di resurrezione.

Il riferimento biblico non è un caso: la Scrittura è stata il punto di riferimento costante della vita di Heleen Voorhoeve. In un libro a lei dedicato due anni fa – in occasione del suo centesimo compleanno – 100 Years. Life, Love, Giving – il giornalista cristiano egiziano Essam Khalil racconta la giornata tipo di Heleen, che cominciava immancabilmente alle sette della mattina con la preghiera silenziosa su un brano della Parola di Dio. Preghiera che poi – alle otto – si trasformava immediatamente in una breve parola semplice, trasmessa al gruppo degli alunni cristiani della scuola, prima di iniziare le giornate di lezioni. L’ha fatto per più di settant’anni. E siamo sicuri che questo seme gettato con pazienza anche senza di lei continuerà a portare tanti frutti.

Hugh O’Flaherty, il prete irlandese che, durante la guerra, salvò 6500 ricercati dai nazisti…

 

La «primula rossa» del Vaticano

Hugh O’Flaherty, il prete irlandese che, durante la guerra, salvò 6500 ricercati dai nazisti…

ANDREA TORNIELLI –Vatican Insider 21/09/2012

Città del Vaticano

Si era guadagnato il soprannome di «primula rossa» del Vaticano e la sua storia era divenuta ancor più famosa nel 1983, grazie al film «The Scarlet and the Black» interpretato da Gregory Peck: sta per essere commemorato a Roma padre Hugh O’Flaherty, il sacerdote irlandese che in tempo di guerra aiutò migliaia di perseguitati e di ricercati a fuggire dalla cattura da parte dei nazisti.

(padre O’Flaherty rappresentato con con i molti travestimenti con i quali riuscì a sfuggire la cattura e la condanna a morte, emessa contro di lui, da eseguire a vista)

Nato nel 1898 nel sud dell’Irlanda, O’Flaherty perse molti amici durante la guerra d’indipendenza irlandese e in quel periodo crebbe il suo sentimento anti-inglese. Un sentimento che superò completamente aiutando tantissimi soldati britannici negli anni del secondo conflitto mondiale. Ordinato prete nel 1925, divenne vice-rettore del collegio di Propaganda Fide e quindi entrò nel servizio della diplomazia vaticana in Palestina, poi ad Haiti e Santo Domingo e infine in Cecoslovacchia. Nel 1938 prese servizio al Sant’Uffizio, abitando al Collegio Teutonico, all’interno del Vaticano. Appassionato di sport, giocava a golf e vinse tornei di pugilato. Sui campi da golf di Ciampino conobbe l’ambasciatore britannico presso la Santa Sede, D’Arcy Osborne, che lo avrebbe aiutato a nascondere, procurare cibo, abiti e mezzi di trasporto per i soldati alleati nascosti a Roma.

Dopo la caduta di Mussolini e l’armistizio firmato dal governo italiano con gli Alleati, migliaia di prigionieri inglesi e americani vennero liberati. Dopo l’occupazione tedesca, molti di essi cercarono rifugio a Roma e bussarono alle porte del Vaticano. O’Flaherty si metteva usciva quotidianamente davanti all’Arco delle Campane, per incontrare e aiutare chiunque avesse bisogno. Grazie all’aiuto del principe Filippo Andrea Doria Pamphilj, dell’ambasciatore Osborne, e di altri, il sacerdote irlandese riuscì a salvare la vita a oltre 6500 persone, inglesi, americani, appartenenti alla comunità ebraica, e di altre nazionalita. Amava ripetere: «God has no country», Dio non ha nazionalità. Alla fine della guerra padre O’Flaherty riceverà la gran croce dell’impero britannico e la medaglia d’onore del Congresso degli Stati Uniti.

I suoi superiori conoscevano la sua attività, ed è difficile anche soltanto immaginare che il Papa Pio XII, Prefetto del Sant’Uffizio, non fosse a piena conoscenza di ciò che il sacerdote faceva, nascondendo persone nel Collegio Teutonico e stampando un gran numero di passaporti vaticani e di permessi di soggiorno per aiutare chi aveva bisogno di lasciapassare.

L’episodio più noto della vita di O’Flaherty accadde a Roma nell’autunno 1943. Il colonnello Herbert Kappler, comandante della Gestapo a Roma, conosceva l’attività clandestina del prete irlandese e aveva cercato più volte di ucciderlo. Un giorno O’Flaherty  si era recato a palazzo Doria Pamphilj in via del Corso e per ricevere dei soldi dal principe. I tedeschi, venuti a sapere della sua presenza, circondarono l’intero stabile. O’Flaherty si rifugiò in cantina, e visto che c’era un uomo che stava consegnando il carbone per l’inverno, si travestì da carbonaio, uscendo dalla cantina e passando accanto ai soldati tedeschi. Kappler rimase nel palazzo per due ore, cercandolo invano in ogni anfratto. Dopo la guerra, O’Flaherty sarebbe andato una volta al mese a Gaeta per far visita a Kappler, accogliendolo nella Chiesa cattolica. Tornato in Irlanda all’inizio degli anni Sessanta, O’Flaherty morì nel 1963.