La debolezza del populismo

forconi

Enrico Letta 

La rete alimenta il mito della democrazia diretta. Mi informo, condivido, partecipo, commento. Tutto in tempo reale, tutto direttamente. E allora perché non posso anche decidere, direttamente? Soprattutto – e qui entra in gioco la variabile crisi – se chi lo fa al posto mio dimostra, secondo me, di non essere capace. Soprattutto se “ruba” o spreca i miei soldi. Soprattutto se deve partecipare, per rimettere il dito nella piaga, a più di 30 vertici europei per arrivare ad una decisione importante. I “soprattutto” proseguono potenzialmente all’infinito: dalla critica di buon senso all’indignazione, fino ad arrivare ovviamente al populismo. Che però non è l’unico approdo possibile, non è una condanna inevitabile. Lo diventa se a tutti gli altri “soprattutto” la democrazia rappresentativa non è in grado di rispondere con autorevolezza. Superando i suoi limiti decisionali e di visione, nel caso dell’Unione Europea. Emendandosi “soprattutto” dai propri difetti storici, nel caso della democrazia italiana.

Uno dei difetti da superare è, per esempio, quello della “scorciatoia istintiva”. Che in questo caso è duplice. Da un lato c’è la chiusura: siccome la partecipazione ha anche, come effetto collaterale, il populismo, si sceglie di scoraggiarla o addirittura di comprimerla. Dall’altro lato, c’è l’emulazione: siccome il populismo oggi funziona in termini di consenso e tutto sommato non comporta troppi sforzi di comprensione, si sceglie  di imitare toni e spesso anche argomentazioni. Entrambe le reazioni, in verità, denotano debolezza. Perché chi si chiude ha paura del confronto e della contaminazione. E chi attacca, invece, mistifica, non è solido nella propria identità.

Inoltre, tutte e due le reazioni sono la negazione dell’essenza più profonda della democrazia, che è aperta e ha un indiscutibile fondamento ideale. Il punto, dunque, è capire come valorizzare questa rivoluzione della partecipazione, renderla lo strumento per “andare insieme, andare lontano”, senza però alimentare l’illusione della democrazia diretta.

Il caso italiano, per una volta, mi sembra possa funzionare come spunto di riflessione positiva anche per l’Europa. Tra i nuovi movimenti politici dei principali Paesi della UE accomunati da una critica radicale al sistema dei partiti, il Movimento 5 Stelle è quello che per primo, in ordine di tempo, è salito alla ribalta grazie a una straordinaria prestazione elettorale. La Rete è stata senza dubbio lo strumento che ha reso possibile quel 25% altrimenti inimmaginabile nei processi politici precedenti alla rivoluzione digitale e in mancanza dell’apparato di organizzazione aziendale su cui poté far leva Berlusconi nel 1994.

Sia pure con le dovute differenze, anche altri movimenti europei via via cresciuti negli ultimi anni hanno utilizzato Internet come piattaforma di riferimento e come veicolo principale dei propri contenuti. Quel che oggi differenzia il M5S dagli altri – penso alla Francia o alla Gran Bretagna, anzitutto – è la sua partecipazione piena al sistema della democrazia rappresentativa. Quella che una volta si sarebbe detta “istituzionalizzazione”.

Per questo – nonostante conosca le forzature del M5S e abbia spesso vissuto le modalità con le quali organizzava l’opposizione al mio governo con disagio, anche personale – ritengo che la piena cittadinanza del Movimento nel nostro circuito istituzionale sia un successo di sistema. Da noi hanno vinto il Parlamento e le istituzioni, non la rabbia più o meno organizzata in protesta fori dalle istituzioni stesse. Da noi la democrazia ha saputo incorporare l’espressione del disagio e della critica, anche radicale, al sistema, senza modificarla.

tratto da “Andare insieme, andare lontano”

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Fonte: http://www.interris.it/2015/07/23/67005/intervento/la-debolezza-del-populismo.html

 

Todorov: “Populisti e messianici quei nemici intimi della civiltà occidentale”

 

In Occidente siamo fin troppo consapevoli di quanto sia pericoloso per un autentico progresso della civiltà l’integralismo, di qualsiasi edizione. Noi crediamo di conoscere quello di marca islamica, sia perché i media ci propongono solo quello, sia perché esso nasce all’interno di culture che non hanno fatto il medesimo percorso storico dell’Occidente, e pertanto, secondo i nostri schemi, appaiono come culture “aliene”, da convertire e ancora “indietro”. In risposta a una pretesa assurda come questa, primo, non è detto che altre culture debbano seguire l’evoluzione che ha caratterizzato le vicende del mondo europeo e nord americano. Secondo, l’integralismo esiste anche in altre edizioni, perfino dentro le culture di matrice cristiana.

Ad ogni modo, quello che Todorov spiega in questo saggio, più che l’integralismo, in Occidente il vero male è un altro. Se l’Occidente punta il dito contro l’integralismo islamico accusandolo di essere la causa di tutti i mali, la nostra civiltà ha un suo male oscuro che costituisce altrettanto una minaccia al vero progresso dell’umanità e alla pace. E’ il messianismo con cui le nostre nazioni credono di avere il diritto di imporre con qualunque forza le proprie idee, la propria stessa cultura a chi ha vissuto percorsi storici diversi. Quando si pensa che in nome delle proprie conquiste culturali si ha il diritto di imporre le proprie idee e i propri principi a mondi diversi – e proprio in ciò consiste il messianismo – siamo davanti al permanente rischio di uno scontro tra civiltà che vede imputati l’integralismo islamico tanto quanto il populismo, sia nei paesi arabi che occidentali, sia il messianismo, radicato in genere nella civiltà occidentale, con una speciale enfasi, per via della sua particolare storia, nella cultura americana. (EC)

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FONTE: FABIO GAMBARO – LA REPUBBLICA | 13 SETTEMBRE 2012

Lo studioso franco-bulgaro Tzvetan Todorov racconta il suo ultimo saggio sui problemi e i pericoli interni delle democrazie contemporanee “Il guaio è quando si cercano soluzioni semplici per problemi complessi vendendo miracoli” “L´altro rischio è il voler imporre il proprio modello distorcendo l´idea di progresso” 

«Popolo, libertà e progresso sono fondamenti della democrazia, che però, quando alimentano populismo, ultraliberalismo e messianismo, possono diventare una minaccia per la democrazia stessa». E´ questo il grido d´allarme lanciato da Tzvetan Todorov nel suo nuovo saggio, I nemici intimi della democrazia (Garzanti): alternando prospettiva storica e riflessione teorica, analizza minuziosamente le derive e le contraddizioni che rischiano di minare dall´interno il funzionamento del nostro sistema politico.

Lo studioso francese di origine bulgara parte dalla constatazione che oggi la democrazia non rischia più di essere rimessa in discussione dai suoi tradizionali nemici esterni, vale a dire il fascismo o il comunismo. «Anche se dopo l´11 settembre, c´è chi ha cercato di trasformare l´islam in un nemico globale della democrazia, in realtà per i sistemi democratici le minacce esterne non sono più un pericolo reale», spiega Todorov, che venerdì 21 sarà presente a “Pordenonelegge”. «Oggi, i veri pericoli provengono dall´interno della democrazia stessa, da quelli che ho chiamato “nemici intimi”, forme di perversione o di stravolgimento di alcuni dei suoi principi di base. Il populismo, l´ultraliberalismo o il messianismo non sono il contrario di ciò cui aspira la democrazia, ma il risultato della dismisura di alcuni elementi – popolo, libertà e progresso – che la costituiscono. Tale dismisura è diventata possibile perché, soprattutto nel XX secolo, sono venute meno le limitazioni reciproche cui questi elementi erano sottoposti».

Nella forma classica della democrazia liberale, interessi collettivi e interessi individuali devono sempre equilibrarsi?
«Il liberalismo classico, da Locke a Montesquieu, ha proclamato la libertà degli individui, ma senza mai immaginarla come una libertà illimitata. Come ricordava Burke, la libertà nello spazio pubblico diventa sempre un potere. Per i pensatori del liberalismo, ogni potere senza limiti è un pericolo. Chi ha un potere cerca di espanderlo e la tentazione della tirannia è inerente al comportamento umano. Di conseguenza, per il buon funzionamento dello Stato, i poteri devono limitarsi e controbilanciarsi a vicenda. Solo così si evita il rischio del dispotismo».

Quest´equilibrio sarebbe il cuore della democrazia?
«Esattamente. La democrazia non è caratterizzata dal dominio di un principio unico, ma dall´equilibrio tra diversi principi. Quando questo viene a mancare, si rischiano derive inquietanti. Il caso più evidente è quello dell´ultraliberalismo, frutto di un´esasperazione smisurata del giusto principio della libertà».

La libertà va limitata?
«Da sempre, gli uomini avanzano rivendicazioni di libertà individuale ma anche di appartenenza collettiva. Bene comune e bene individuale non vanno però sempre nella stessa direzione. La democrazia, grazie alla sua natura mista, si sforza di preservarli entrambi. In passato, le cosiddette democrazie popolari – che ho conosciuto da giovane in Bulgaria – in nome dell´interesse collettivo, non lasciavano alcuna libertà all´individuo. Oggi le democrazie corrono il rischio contrario, vale a dire la tirannia dell´individuo che, in nome di una libertà assoluta e smisurata, sottomette tutta la vita sociale al dominio di un´economica regolata esclusivamente dalle leggi del mercato. In questa prospettiva, si postula l´assenza di ogni controllo della società e della politica sulle forze individuali dell´economia. E talvolta si arriva persino al neoliberalismo di Stato, che è una mostruosa combinazione nella quale la funzione dello Stato diventa quella di smantellare lo Stato stesso e d´impedire qualsiasi controllo della società sull´attività degli individui».

Il primato dell´individuo rifiuta di prendere in considerazione l´interesse collettivo?
«Sì, ma anche quando la società prova a occuparsi del bene comune, la mondializzazione dell´economia spesso le sottrae ogni possibilità d´intervento. Lo si vede oggi in Francia, dove Hollande fa fatica a concretizzare le promesse elettorali, scoprendo di avere un margine di manovra molto limitato. Di fronte al potere dell´economia, il potere politico si ritrova impotente. E le democrazie rischiano di trasformarsi in oligarchie dirette dai pochi che controllano il potere economico».

Il messianismo è il rischio che corre la democrazia quando, considerandosi superiore, pensa di dover intervenire per imporre agli altri i propri principi. E´ così?
«Il messianismo politico è una forma di hubris che si è impossessata degli uomini ai tempi dell´Illuminismo, distorcendo l´esigenza del progresso. Il colonialismo, con la sua pretesa d´imporre ai popoli selvaggi una civiltà considerata superiore nasceva da questa prospettiva. Anche la società ideale del comunismo era una sorta di messianismo. Oggi siamo in una nuova fase, caratterizzata da guerre che intendono portare il bene ad altri popoli. E´ un atteggiamento messianico che ricorda il periodo coloniale. Come allora, crediamo ingenuamente nella superiorità della democrazia, al punto che consideriamo giusto e legittimo imporla anche agli altri attraverso guerre asimmetriche, le cui vittime sono soprattutto le popolazioni civili. Tutto ciò non fa altro che indebolire la democrazia».

Un altro nemico “intimo” della democrazia è il populismo…
«Il populismo non si manifesta solo attraverso la xenofobia e il razzismo. E´ infatti presente ogni volta che si pretende di trovare soluzioni semplici per problemi complessi, proponendo ricette miracolose all´attenzione distratta di chi non ha il tempo di approfondire. Il populismo può essere sia di destra che di sinistra, ma propone sempre soluzioni immediate che non tengono conto delle conseguenze a lungo termine. Il populismo preferisce le semplificazioni e le generalizzazioni, sfrutta la paura e l´insicurezza, fa appello al popolo, cortocircuitando le istituzioni. Ma la democrazia non è un´assemblea permanente né un sondaggio continuo».

Certi comportamenti dei politici non approfondiscono il fosso che li separa dalla società?
«E´ sempre stato così, perché l´uomo di potere non fa più la stessa vita dell´uomo della strada. Dimentica le critiche passate per approfittare della posizione conquistata. A ciò oggi si aggiunge il problema della “spersonalizzazione” del potere. In passato, le forme del potere erano più facilmente identificabili, era quindi possibile rivoltarsi contro un avversario visibile. Con la mondializzazione, il potere economico è diventato un potere diffuso, sfuggente, impersonale. Non si sa più come agire, contro chi rivoltarsi. Ci si sente impotenti. Il che spiega una certa disillusione nei confronti della democrazia».

La condivide?
«Io sono convinto che la democrazia abbia ancora la possibilità d´intervenire almeno in parte sulla realtà. I partiti e i loro programmi non sono tutti uguali, e con il voto è possibile determinare alcune scelte collettive sul piano dell´economia e della società».

I cittadini hanno spesso l´impressione di contare di più attraverso le iniziative di base che attraverso i rituali della democrazia. Che ne pensa?
«La democrazia ha forse perduto una parte del suo potere d´attrazione, ma attraverso i suoi meccanismi conferisce ancora molto potere, anche se i risultati sono meno visibili che in passato. Sebbene indebolito, il potere dello Stato resta importante. E´ un potere che va esercitato, votando, controllando. La democrazia non si esaurisce in una sola forma di partecipazione. Il suffragio universale è certo un principio fondamentale, ma è solo un elemento tra molti altri. Ecco perché la moltiplicazione dei livelli d´impegno nella vita pubblica è un segno della vitalità della democrazia».