Papa Francesco, la Chiesa e le Famiglie separate

La parola del pontefice, espressione piena della custodia della Tradizione e, allo stesso tempo, della compassione e, soprattutto della carità pastorale, la quale riassume la legge e richiama al primato dell’evangelizzazione.

 

La Famiglia – 21. Famiglie ferite (II)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Con questa catechesi riprendiamo la nostra riflessione sulla famiglia. Dopo aver parlato, l’ultima volta, delle famiglie ferite a causa della incomprensione dei coniugi, oggi vorrei fermare la nostra attenzione su un’altra realtà: come prenderci cura di coloro che, in seguito all’irreversibile fallimento del loro legame matrimoniale, hanno intrapreso una nuova unione.

La Chiesa sa bene che una tale situazione contraddice il Sacramento cristiano. Tuttavia il suo sguardo di maestra attinge sempre da un cuore di madre; un cuore che, animato dallo Spirito Santo, cerca sempre il bene e la salvezza delle persone. Ecco perché sente il dovere, «per amore della verità», di «ben discernere le situazioni». Così si esprimeva san Giovanni Paolo II, nell’Esortazione apostolica Familiaris consortio (n. 84), portando ad esempio la differenza tra chi ha subito la separazione rispetto a chi l’ha provocata. Si deve fare questo discernimento.

Se poi guardiamo anche questi nuovi legami con gli occhi dei figli piccoli – e i piccoli guardano –, con gli occhi dei bambini, vediamo ancora di più l’urgenza di sviluppare nelle nostre comunità un’accoglienza reale verso le persone che vivono tali situazioni. Per questo è importante che lo stile della comunità, il suo linguaggio, i suoi atteggiamenti, siano sempre attenti alle persone, a partire dai piccoli. Loro sono quelli che soffrono di più, in queste situazioni. Del resto, come potremmo raccomandare a questi genitori di fare di tutto per educare i figli alla vita cristiana, dando loro l’esempio di una fede convinta e praticata, se li tenessimo a distanza dalla vita della comunità, come se fossero scomunicati? Si deve fare in modo di non aggiungere altri pesi oltre a quelli che i figli, in queste situazioni, già si trovano a dover portare! Purtroppo, il numero di questi bambini e ragazzi è davvero grande. E’ importante che essi sentano la Chiesa come madre attenta a tutti, sempre disposta all’ascolto e all’incontro.

In questi decenni, in verità, la Chiesa non è stata né insensibile né pigra. Grazie all’approfondimento compiuto dai Pastori, guidato e confermato dai miei Predecessori, è molto cresciuta la consapevolezza che è necessaria una fraterna e attenta accoglienza, nell’amore e nella verità, verso i battezzati che hanno stabilito una nuova convivenza dopo il fallimento del matrimonio sacramentale; in effetti, queste persone non sono affatto scomunicate: non sono scomunicate!, e non vanno assolutamente trattate come tali: esse fanno sempre parte della Chiesa.

Papa Benedetto XVI è intervenuto su tale questione, sollecitando un attento discernimento e un sapiente accompagnamento pastorale, sapendo che non esistono «semplici ricette» (Discorso al VII Incontro Mondiale delle Famiglie, Milano, 2 giugno 2012, risposta n. 5).

Di qui il ripetuto invito dei Pastori a manifestare apertamente e coerentemente la disponibilità della comunità ad accoglierli e a incoraggiarli, perché vivano e sviluppino sempre più la loro appartenenza a Cristo e alla Chiesa con la preghiera, con l’ascolto della Parola di Dio, con la frequenza alla liturgia, con l’educazione cristiana dei figli, con la carità e il servizio ai poveri, con l’impegno per la giustizia e la pace.

L’icona biblica del Buon Pastore (Gv 10,11-18) riassume la missione che Gesù ha ricevuto dal Padre: quella di dare la vita per le pecore. Tale atteggiamento è un modello anche per la Chiesa, che accoglie i suoi figli come una madre che dona la sua vita per loro. «La Chiesa è chiamata ad essere sempre la casa aperta del Padre […]» – Niente porte chiuse! Niente porte chiuse! – «Tutti possono partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, tutti possono far parte della comunità. La Chiesa […] è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa» (Esort. ap. Evangelii gaudium, n. 47).

Allo stesso modo tutti i cristiani sono chiamati a imitare il Buon Pastore. Soprattutto le famiglie cristiane possono collaborare con Lui prendendosi cura delle famiglie ferite, accompagnandole nella vita di fede della comunità. Ciascuno faccia la sua parte nell’assumere l’atteggiamento del Buon Pastore, il quale conosce ognuna delle sue pecore e nessuna esclude dal suo infinito amore!

La fatica del pastore d’anime. Il riposo in Dio e nel popolo

OMELIA DI PAPA FRANCESCO NELLA MESSA CRISMALE – GIOVEDI’ SANTO 2015

La compassione di Dio che smantella il falso senso di dedizione al proprio lavoro pastorale. Dalle parole del Papa emerge una immagine umana del prete, più coerente con la tenerezza di Dio. Alla bramosia dei risultati Dio preferisce il pastore che cammina col suo popolo e che si affatica con esso, e che trova riposo dentro il popolo e in Dio.

Conta più conquistare un posto a S. Marta che attuare l’Evangelii Gaudium?

L’Evangelii Gaudium non è un documento di transizione. E’ un testo programmatico di un pontificato. Una richiamo per l’intera Chiesa. Il filo conduttore è un costante richiamo alla conversione: mentale, affettiva, emotiva, spirituale, culturale verso un nuovo modo di vedere la Chiesa e il mondo. Il vangelo e il suo annuncio sono la vera fonte della gioia dell’umanità e la via d’uscita da una crisi epocale. Ma quanti, alla base lo stanno comprendendo? Ci si chiede se non stia prevalendo una sorta di idolatria della figura del pontefice, a cui il mondo cattolico è grato perché ha fatto alzare le sue quotazioni fin dalla sua elezione. Ma è vero?E’ la Chiesa che ne sta guadagnando oppure la figura di ciò che il papa rappresenta nell’immaginario collettivo?

Si dice che, dalla sua elezione, i pellegrinaggi e la pratica religiosa siano aumentati. Pare che le parole siano confermate dai fatti. Almeno a Roma, il martedì sera gli alberghi attorno a San Pietro, e in buona parte di Roma, registrano il tutto esaurito, in vista dell’Udienza generale del mercoledì, fin dall’elezione di papa Francesco.

Ma è d’obbligo la domanda: cos’è che muove questa “domanda” di vedere il Papa? La testimonianza della sua coerenza di vita? Il suo carattere fortemente carismatico? Il modo in cui abbraccia la gente? Se anche fosse, bisogna ricordare il messaggio più importante: le parole e le azioni di questo pontefice non sono una trovata mediatica. Sono un invito alla conversione, rivolto anzitutto alla Chiesa. L’Evangelii Gaudium è il programma per il lungo e complesso cammino di questa conversione.

Ma alla base, tra molti parrocchiani, e non solo, nelle parrocchie, pare che stia prevalendo “l’operazione Santa Marta”: la ricerca di contatti a Roma per quella raccomandazione che farebbe garantire un posto sicuro alla Messa mattutina del Papa. Più che entrare nello spirito della conversione a cui il pontefice invita, si ha l’impressione che sia più importante trovare il canale per entrare nel numero di quei fortunati 20 fedeli al giorno che potranno vedere Papa Francesco celebrare. E magari portare a casa qualche foto ricordo.

(E.C.)

 

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Sulla strada di Papa Francesco (con qualche intoppo…)

In parrocchia scatta “l’operazione Santa Marta”, con venti fortunati che nel riserbo più assoluto (e all’insaputa degli altri) vanno a Messa dal Papa…

 

di Gianni Di Santo |VinoNuovo 19 giugno 2014

 

L’Evangelii Gaudium fatica a essere digerita dalle comunità parrocchiali. Mentre papa Francesco ridisegna le mappe di un annuncio missionario oltre i confini geografici della Chiesa-istituzione-curia, il fardello del cambiamento ricade inesorabilmente non solo sul popolo di Dio in generale, ancora sorpreso dall’effetto-Francesco, ma soprattutto sui laici “impegnati” e su tutti coloro che, ogni giorno, prestano il loro servizio alla Chiesa “domestica” e quindi alla comunità parrocchiale.

Me lo diceva molto bene Luigi Accattoli quando, a margine della presentazione del mio libro Chiesa anno zero,mi proponeva di riflettere non solo sull’istituzione-Chiesa ma anche sul popolo di Dio. Che effetto hanno le parole “nuove” di Francesco sulle comunità ecclesiali? Come stanno reagendo? Sono pronte a cambiare il loro modo di annunciare la parola oppure restano disorientate e quasi impaurite dal mettere in discussione antichi privilegi (anche spirituali), ritualità di collaborazione con i pastori ormai consolidate nel tempo, interessi personali e di gruppi in alcuni servizi pastorali?

Sono anche io convinto sempre più che la rivoluzione di Francesco avrà luogo se prima, dal di dentro della pancia della madre Chiesa, ci sarà un bagno di conversione interiore che toccherà non solo i presbiteri, ma anche quel popolo di Dio, i cosiddetti “laici”, che proprio con i pastori condivide la vigna del Signore e dovrebbe essere corresponsabile dell’annuncio evangelico.

Racconto, in proposito, un’esperienza tratta dalla mia comunità parrocchiale abbastanza significativa per spiegare ciò che bolle in pentola. Francesco va avanti, certo, ma con qualche intoppo.

Come tutti sanno, Santa Marta è il luogo dove Francesco vive e celebra la messa alle 7 di mattina, dove è solito salutare i partecipanti. Da vescovo di Roma quale si sente, ha giustamente permesso alle parrocchie romane di partecipare, a turno, alla messa mattutina. Al posto delle udienze personali dei precedenti pontefici, spesso riservate ai vip o ai soliti raccomandati, Francesco ha così reso visibile a tutti quanto la Chiesa sia davvero popolo di Dio. Ma siamo davvero sicuri che i parroci e le comunità parrocchiali intendano davvero la messa a Santa Marta come un cammino verso il nuovo annuncio oppure, invece, un perpetrare di antiche logiche medievali legate alla concessione di indulgenze, favori e regalie?

Grazie al mio lavoro, infatti, ho appreso alcuni giorni dopo che venerdì 13 giugno la mia parrocchia è stata a Santa Marta dal papa. Peccato: averlo saputo prima avrei pregato per l’iniziativa e avrei fatto festa. Come me, infatti (a oggi ancora non sono stato cacciato dal consiglio pastorale…), non lo hanno saputo metà dell’attuale Consiglio pastorale, tantissimi collaboratori, catechisti, educatori, i giovani e, ovviamente, la comunità parrocchiale nel suo intero. Un incredibile silenzio è sceso su tutta l’operazione Santa Marta.

A prenderla con il sorriso, mi immagino il pulmino, quatto quatto, alle quattro di mattina, mentre solca le vie del mio quartiere con i 20 fortunati prescelti alla volta del Vaticano, senza svegliare nessuno. Si dirà: il parroco sceglie chi vuole, e poi i posti sono pochi. Giusto, forse. Anche se avrebbe dovuto scegliere, secondo un’ottica di comunione che non è un mero stato esistenziale ma un dovere evangelico, in base alla “rappresentanza” e non in base a criteri personali che peraltro non ha spiegato a nessuno, nemmeno a coloro che hanno partecipato all’evento.

Ma, al di là della scelta di chi dovesse partecipare, lo sconcerto nasce dall’assoluto riserbo con il quale è stata gestita l’intera vicenda. Una notizia che i prescelti sapevano già almeno un mese prima e che nessuno ha osato condividere con amici (?!), educatori, catechisti, il resto della comunità, qualcuno perfino in famiglia. Mi domando: per paura di cosa? Un silenzio servile dove i laici, ahimè, fanno la figura del gregge e dove alcuni pastori (per fortuna non tutti sono così…) rimangono gli unici detentori del dono della grazia e di un retaggio di status ecclesiastico duro a morire che credevamo stesse per scomparire.

Un disastro pastorale, dunque, a prenderla dalle parti del vangelo. Un disastro ma anche una coerente azione pastorale a parer mio assai preconciliare che ha visto durante l’anno il consiglio pastorale arrendersi a organismo burocratico di “passacarte” e la comunione tra servizi pastorali e gruppi (sinodalità-prassi evangelica) assumere le vesti di contorni verbali e mai sostanziali. E la Chiesa “in uscita” di papa Francesco?

Ecco, questo è il punto. I laici, gli impegnati nelle comunità parrocchiali, sentono il bisogno di mettersi in discussione? Desiderano andare oltre il loro gruppetto di riferimento? Sapranno obbedire in piedi? Avranno la forza di dire, ad alta voce: «caro “don”, stai sbagliando!» nello spirito della correzione fraterna? E i pastori, i nostri amati pastori, riescono a capire che il soffio dello Spirito sta scendendo, inesorabilmente, anche sulle loro/nostre comunità templi/chiese e spazzerà via, prima o poi, ogni tradimento del vangelo?