Tommaso. Il suo dubbio. Le sue paure. Il dono della fede e il suo frutto: la pace

Commento alle letture della 2^ domenica di Pasqua Anno A

Ascolta il vangelo: www.lachiesa.it/bibbia/cei1974/mp3/Gv-20.19.mp3

Nella prima lettura, l’evangelista Luca descrive la comunità cristiana degli inizi. È una comunità che profuma ancora della freschezza dell’incontro con Gesù risorto, la cui presenza è sentita come brezza sulla pelle. Il Risorto è il respiro stesso della comunità. La pace, l’armonia, l’unità e l’ascolto della testimonianza dei pastori sono i tratti che identificano Chiesa.

Questa è la chiesa che duemila anni fa sconvolse il mondo ed è per essa che noi oggi siamo qui, a celebrare ancora la Pasqua del Signore.

La pace del Signore scende sulle paure umane e le scioglie. Purtroppo, noi facciamo parte di una generazione che ha confuso la pace di Dio con la “tranquillità” e il “quieto vivere”. E per questo sfioriamo una condizione di infelicità permanente.

Finché saremo nel mondo la vita non ci concederà mai tregua. La pace in Cristo consiste nel dono di saper stare dentro le tempeste del mondo e di sentire che è Dio che ha in mano il timone della storia e delle nostre vite. È una forza spirituale che guarisce nel profondo ed è frutto dalla presenza del risorto in noi.

Questa è anche la vicenda dell’apostolo Tommaso, di cui troppe volte si è messo l’accento solo sul dubbio, senza comprendere che il suo vero problema era la paura, quella che, con la morte maestro, tutto possa essere stato soltanto un inganno e un’illusione.

La tempesta dei giudei infuria attorno a quel cenacolo ma la presenza di Gesù risorto e il dono della sua pace risolve la paura di tutti, compreso quella di Tommaso, il quale cade in adorazione e fa la professione di fede più grande di tutto il Nuovo testamento: “mio Signore è mio Dio”.

Forse a questa professione noi non siamo mai pienamente arrivati. Piuttosto siamo rimasti a una idea di Dio come a colui a cui ci si può rivolgere solo quando se ne ha bisogno, e a volte come a colui con cui prendersela quando non ci concede quello che chiediamo. Ma questo non è il Dio di Gesù Cristo.

È Pasqua quando lasciamo che il Risorto scenda nelle profondità dei nostri abissi e gli si permetta di toccare le nostre ferite, quelle che vorremmo tenere nascoste, per guarirle. È Pasqua quando lasciamo che la pace del risorto trasformi la nostra vita.

Cristo ci dà il dono della sua pace. Tocca a noi, con questo dono, il compito di ridurre al silenzio, nelle nostre viscere, la violenza del mondo e far splendere, come nella comunità degli inizi la bellezza di una testimonianza pasquale, attraente e irresistibile.

Ma quanta strada dobbiamo fare?

E.C.

Il gelso e il granello di senape

Il cristiano che vive ispirato dalla fede:

– nutre la virtù della speranza, laddove altri si lasciano scoraggiare,

– apre varchi di futuro laddove altri si rassegnano alla prigionia un eterno presente che si ripete e non credono che sia neanche possibile un futuro,

– incoraggia gli animi davanti agli ostacoli laddove altri fermano la corsa,

– non si lamenta perché si fida della potenza di Dio che mantiene quello che promette, laddove altri danno solo un significato di “esempio” alle promesse di Dio,

– scruta la volontà di Dio e sa che è sempre possibile una qualche soluzione, anche temporanea, anche parziale, anche difettosa, laddove altri rinunciano a scrutare, complicano la vita a sé stessi e la rendono impossibile agli altri.

La persona di fede trova sempre le possibili soluzioni ai problemi laddove altri trovano sempre problemi alle possibili soluzioni.

Dio rende possibile quello che altri hanno deciso essere impossibile

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C’è sempre una soluzione, di qualche tipo, laddove gli altri vedono solo problemi.

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Seme di senape

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«Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe.” (LC 17,16)

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Semi di senape

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Albero di gelso

I giovani europei stanno perdendo la fede

“La mia impressione è che il titolo arriva in ritardo rispetto alla realtà. Da anni le giovani generazioni di molti paesi dell’Europa Occidentale non hanno mai avuto un contatto con la fede. Eppure si stanno trovando davanti all’irruzione di nuove religioni che chiedono di poter influenzare la vita pubblica. I dati provenienti dall’Est sono ancora più preoccupanti.

(E.C.)

La religione e in particolare il cristianesino versa in grave condizioni di salute. Questa è la conclusione di un nuovo rapporto curato da Stephen Bullivant, professore di teologia e sociologia della religione alla St Mary’s University di Londra. Lo studio che trovate qui si concentra sui giovani europei ma non contempla l’Italia che è insieme alla Polonia il Paese più cattolico d’Europa. Il senso però è che la religione sta morendo e l’Europa sta diventando una terra senza Dio. “Con alcune eccezioni degne di nota – ha dichiarato il professore al Guardian – i giovani adulti non si identificano sempre più o praticano la religione”.

Perdere la fede.  Diciamo subito che i giovani nella Repubblica Ceca sono dei senza Dio. In precentuale rispetto agli altri Paesi, chiaramente. Il 91% dei giovani dai 16 ai 29 anni afferma di non credere in Dio. La stragrande maggioranza (80%) dei giovani in Estonia afferma lo stesso, così come il 75% degli svedes

Nel Regno Unito, il 70% non ha religione e solo il 7% si definisce anglicano  mentre il 6% dei giovani si definisce musulmano. In Francia sei giovani su dieci non hanno un credo. Complessivamente, in 12 dei 22 Paesi studiati, oltre la metà dei giovani dichiara di non identificarsi con alcuna religione o denominazione particolare. Inutile dire che i più credenti sono polacchi e lituani.

Ma anche gli europei che sono religiosi non praticano

Meno della metà dei cattolici europei va regolarmente a messa. In Polonia, il 47% va una volta alla settimana. Ma in Belgio solo il 2% lo fa. Gli unici paesi europei in cui oltre il 10% dei giovani tra i 16 ei 29 anni afferma di frequentare servizi religiosi almeno settimanalmente erano Polonia, Portogallo e Irlanda. Come dire: tutto finito.

Fonte: http://www.infodata.ilsole24ore.com/2018/05/08/giovani-europei-stanno-perdendo-la-fede/#print

L’inattesa sorpresa di Benedetto XVI che scrive al matematico ateo Odifreddi

Ratzinger: “Caro Odifreddi

le racconto chi era Gesù”

La fede, la scienza, il male. Un dialogo a distanza fra Benedetto XVI e il matematico

pubblicato su La Repubblica il 24 settembre 2013

 

ll. mo Signor Professore Odifreddi, (…) vorrei ringraziarLa per aver cercato fin nel dettaglio di confrontarsi con il mio libro e così con la mia fede; proprio questo è in gran parte ciò che avevo inteso nel mio discorso alla Curia Romana in occasione del Natale 2009. Devo ringraziare anche per il modo leale in cui ha trattato il mio testo, cercando sinceramente di rendergli giustizia.

Il mio giudizio circa il Suo libro nel suo insieme è, però, in se stesso piuttosto contrastante. Ne ho letto alcune parti con godimento e profitto. In altre parti, invece, mi sono meravigliato di una certa aggressività e dell’avventatezza dell’argomentazione. (…)

Più volte, Ella mi fa notare che la teologia sarebbe fantascienza. A tale riguardo, mi meraviglio che Lei, tuttavia, ritenga il mio libro degno di una discussione così dettagliata. Mi permetta di proporre in merito a tale questione quattro punti:

1. È corretto affermare che “scienza” nel senso più stretto della parola lo è solo la matematica, mentre ho imparato da Lei che anche qui occorrerebbe distinguere ancora tra l’aritmetica e la geometria. In tutte le materie specifiche la scientificità ha ogni volta la propria forma, secondo la particolarità del suo oggetto. L’essenziale è che applichi un metodo verificabile, escluda l’arbitrio e garantisca la razionalità nelle rispettive diverse modalità.

2. Ella dovrebbe per lo meno riconoscere che, nell’ambito storico e in quello del pensiero filosofico, la teologia ha prodotto risultati durevoli.

3. Una funzione importante della teologia è quella di mantenere la religione legata alla ragione e la ragione alla religione. Ambedue le funzioni sono di essenziale importanza per l’umanità. Nel mio dialogo con Habermas ho mostrato che esistono patologie della religione e – non meno pericolose – patologie della ragione. Entrambe hanno bisogno l’una dell’altra, e tenerle continuamente connesse è un importante compito della teologia.

4. La fantascienza esiste, d’altronde, nell’ambito di molte scienze. Ciò che Lei espone sulle teorie circa l’inizio e la fine del mondo in Heisenberg, Schrödinger ecc., lo designerei come fantascienza nel senso buono: sono visioni ed anticipazioni, per giungere ad una vera conoscenza, ma sono, appunto, soltanto immaginazioni con cui cerchiamo di avvicinarci alla realtà. Esiste, del resto, la fantascienza in grande stile proprio anche all’interno della teoria dell’evoluzione. Il gene egoista di Richard Dawkins è un esempio classico di fantascienza. Il grande Jacques Monod ha scritto delle frasi che egli stesso avrà inserito nella sua opera sicuramente solo come fantascienza. Cito: “La comparsa dei Vertebrati tetrapodi… trae proprio origine dal fatto che un pesce primitivo “scelse” di andare ad esplorare la terra, sulla quale era però incapace di spostarsi se non saltellando in modo maldestro e creando così, come conseguenza di una modificazione di comportamento, la pressione selettiva grazie alla quale si sarebbero sviluppati gli arti robusti dei tetrapodi. Tra i discendenti di questo audace esploratore, di questo Magellano dell’evoluzione, alcuni possono correre a una velocità superiore ai 70 chilometri orari…” (citato secondo l’edizione italiana Il caso e la necessità, Milano 2001, pagg. 117 e sgg.).

In tutte le tematiche discusse finora si tratta di un dialogo serio, per il quale io – come ho già detto ripetutamente  –  sono grato. Le cose stanno diversamente nel capitolo sul sacerdote e sulla morale cattolica, e ancora diversamente nei capitoli su Gesù. Quanto a ciò che Lei dice dell’abuso morale di minorenni da parte di sacerdoti, posso  –  come Lei sa  –  prenderne atto solo con profonda costernazione. Mai ho cercato di mascherare queste cose. Che il potere del male penetri fino a tal punto nel mondo interiore della fede è per noi una sofferenza che, da una parte, dobbiamo sopportare, mentre, dall’altra, dobbiamo al tempo stesso, fare tutto il possibile affinché casi del genere non si ripetano. Non è neppure motivo di conforto sapere che, secondo le ricerche dei sociologi, la percentuale dei sacerdoti rei di questi crimini non è più alta di quella presente in altre categorie professionali assimilabili. In ogni caso, non si dovrebbe presentare ostentatamente questa deviazione come se si trattasse di un sudiciume specifico del cattolicesimo.

Se non è lecito tacere sul male nella Chiesa, non si deve però, tacere neppure della grande scia luminosa di bontà e di purezza, che la fede cristiana ha tracciato lungo i secoli. Bisogna ricordare le figure grandi e pure che la fede ha prodotto  –  da Benedetto di Norcia e sua sorella Scolastica, a Francesco e Chiara d’Assisi, a Teresa d’Avila e Giovanni della Croce, ai grandi Santi della carità come Vincenzo dè Paoli e Camillo de Lellis fino a Madre Teresa di Calcutta e alle grandi e nobili figure della Torino dell’Ottocento. È vero anche oggi che la fede spinge molte persone all’amore disinteressato, al servizio per gli altri, alla sincerità e alla giustizia. (…)

Ciò che Lei dice sulla figura di Gesù non è degno del Suo rango scientifico. Se Lei pone la questione come se di Gesù, in fondo, non si sapesse niente e di Lui, come figura storica, nulla fosse accertabile, allora posso soltanto invitarLa in modo deciso a rendersi un po’ più competente da un punto di vista storico. Le raccomando per questo soprattutto i quattro volumi che Martin Hengel (esegeta dalla Facoltà teologica protestante di Tübingen) ha pubblicato insieme con Maria Schwemer: è un esempio eccellente di precisione storica e di amplissima informazione storica. Di fronte a questo, ciò che Lei dice su Gesù è un parlare avventato che non dovrebbe ripetere. Che nell’esegesi siano state scritte anche molte cose di scarsa serietà è, purtroppo, un fatto incontestabile. Il seminario americano su Gesù che Lei cita alle pagine 105 e sgg. conferma soltanto un’altra volta ciò che Albert Schweitzer aveva notato riguardo alla Leben-Jesu-Forschung (Ricerca sulla vita di Gesù) e cioè che il cosiddetto “Gesù storico” è per lo più lo specchio delle idee degli autori. Tali forme mal riuscite di lavoro storico, però, non compromettono affatto l’importanza della ricerca storica seria, che ci ha portato a conoscenze vere e sicure circa l’annuncio e la figura di Gesù.

(…) Inoltre devo respingere con forza la Sua affermazione (pag. 126) secondo cui avrei presentato l’esegesi storico-critica come uno strumento dell’anticristo. Trattando il racconto delle tentazioni di Gesù, ho soltanto ripreso la tesi di Soloviev, secondo cui l’esegesi storico-critica può essere usata anche dall’anticristo – il che è un fatto incontestabile. Al tempo stesso, però, sempre – e in particolare nella premessa al primo volume del mio libro su Gesù di Nazaret – ho chiarito in modo evidente che l’esegesi storico-critica è necessaria per una fede che non propone miti con immagini storiche, ma reclama una storicità vera e perciò deve presentare la realtà storica delle sue affermazioni anche in modo scientifico. Per questo non è neppure corretto che Lei dica che io mi sarei interessato solo della metastoria: tutt’al contrario, tutti i miei sforzi hanno l’obiettivo di mostrare che il Gesù descritto nei Vangeli è anche il reale Gesù storico; che si tratta di storia realmente avvenuta. (…)

Con il 19° capitolo del Suo libro torniamo agli aspetti positivi del Suo dialogo col mio pensiero. (…) Anche se la Sua interpretazione di Gv 1,1 è molto lontana da ciò che l’evangelista intendeva dire, esiste tuttavia una convergenza che è importante. Se Lei, però, vuole sostituire Dio con “La Natura”, resta la domanda, chi o che cosa sia questa natura. In nessun luogo Lei la definisce e appare quindi come una divinità irrazionale che non spiega nulla. Vorrei, però, soprattutto far ancora notare che nella Sua religione della matematica tre temi fondamentali dell’esistenza umana restano non considerati: la libertà, l’amore e il male. Mi meraviglio che Lei con un solo cenno liquidi la libertà che pur è stata ed è il valore portante dell’epoca moderna. L’amore, nel Suo libro, non compare e anche sul male non c’è alcuna informazione. Qualunque cosa la neurobiologia dica o non dica sulla libertà, nel dramma reale della nostra storia essa è presente come realtà determinante e deve essere presa in considerazione. Ma la Sua religione matematica non conosce alcuna informazione sul male. Una religione che tralascia queste domande fondamentali resta vuota.

Ill. mo Signor Professore, la mia critica al Suo libro in parte è dura. Ma del dialogo fa parte la franchezza; solo così può crescere la conoscenza. Lei è stato molto franco e così accetterà che anch’io lo sia. In ogni caso, però, valuto molto positivamente il fatto che Lei, attraverso il Suo confrontarsi con la mia Introduzione al cristianesimo, abbia cercato un dialogo così aperto con la fede della Chiesa cattolica e che, nonostante tutti i contrasti, nell’ambito centrale, non manchino del tutto le convergenze.

Con cordiali saluti e ogni buon auspicio per il Suo lavoro.

Il Padre nostro dei non credenti

 

di José Tolentino Mendonça – “Avvenire” del 15 settembre 2013

 

Per capire la preghiera del Padre nostro (e oserei dire, per comprendere ogni preghiera cristiana), è necessario ricercare il significato di questo “Padre” a cui ci dirigiamo. Che cos’è un padre? Mio padre si trova fuori e dentro di me. È una persona in carne e ossa, che possiede una storia, uno stile, un temperamento, che ha intrattenuto con me una serie di scambi fondamentali… Ma il padre si trova anche dentro, all’interno di ciascuno di noi. È quello che noi chiamiamo imago. Una specie di rappresentazione psichica, che ci offre un modello per cementare l’architettura interiore. In verità, per crescere, per guadagnare l’indispensabile fiducia, tutti abbiamo avuto la necessità di avere in noi stessi nostro padre, e non solo fuori. E lo abbiamo incorporato. In seguito ci siamo proiettati in lui, abbiamo cercato di imitarlo, di essere come lui, di raggiungere il suo livello che già ci sembrava incalcolabile, di raggiungere la sua forza e le sue capacità che avevamo già considerato assolute e protettrici.

La grammatica del vivere, nella sua singolarità, ci sollecita una qualche forma di incorporazione della madre e del padre. La loro figura non solo permane di fronte ai nostri occhi, ma guadagna la sua esistenza interna. Questa “gestazione” permette che il bambino si strutturi interiormente e proceda in quella che sarà l’arte di una vita, la fiducia. In uno dei suoi libri, lo psicanalista João dos Santos racconta una storia interessante. I bambini della Casa da praia, un’istituzione da lui fondata, erano stati convocati per realizzare un gioco: prendere d’assalto un castello. Le professoresse avevano organizzato tutto e la classe avrebbe preso d’assalto la fortezza, in pieno giorno, con spade ed elmi di cartoncino. Un gioco più o meno simile a tanti altri che abbiamo fatto anche noi. Ma al momento di iniziare il combattimento, un bambino di quattro anni si rifiuta di prendervi parte. E quando lo si incita affinché si faccia

coraggio, si mette a piagnucolare, e dice: «Ho paura, non ho le forze, non riesco a lottare, mio padre è a Parigi». Neppure i genitori degli altri bambini erano presenti, e dunque doveva essere indifferente la localizzazione di quel padre specifico. Ma quel che il bambino voleva esprimere possiede un’altra dimensione. In realtà, si dibatteva in questo modo: «Mio padre non è ancora sufficientemente forte dentro di me, come immagine, per poter lottare se non si trova al mio fianco. Mio padre è lontano, e sono, di conseguenza, un essere più fragile degli altri, non mi sento capace di affrontare il rischio…

Sarebbe stato necessario che questa presenza fosse sufficientemente stabile e irradiante dentro di me». Vi ricordate quando eravamo bambini e ci vergognavamo di guardare gli estranei? Senza il babbo o la mamma, vicini, non sapevamo fare un passo, camminavamo attaccati ai loro vestiti, ci alimentavamo della loro prossimità. È un po’ paradossale, ma è così: abbiamo cominciato a guadagnare autonomia in relazione ai genitori quando loro hanno cominciato a collocarsi, in modo sicuro, dentro di noi. Era questo che mancava al bambino della storia precedente. L’assenza del padre dentro di sé lo paralizzava.

Per la maggior parte delle persone non ci sarà stato mai che un interlocutore: il padre o la madre. Figure preponderanti per la loro presenza o assenza, che liberano o schiacciano la vita con tutto il peso di ciò che essi non hanno saputo essere o dare. «Guarda quel che faccio! È per te, è per ottenere il tuo amore, è affinché finalmente tu volti i tuoi occhi verso di me, affinché tu mi dia con la piena luce dei tuoi occhi la certezza, la conferma che io merito di esistere ». (…)

Simone Weil ha scritto che non si può concepire una preghiera che non sia già contenuta nel Padre nostro: questo «sta alla preghiera come Cristo all’umanità». Di più: «È impossibile pronunciarlo un’unica volta, prestando a ogni parola la pienezza dell’attenzione, senza che un cambiamento, forse infinitesimale, ma reale, si dia». Riusciamo a capire il Padre nostro solo quando ci sentiamo colpiti, frastornati, risolti, rinati attraverso di lui. Quando capiamo, in modo esistenziale, che prima di Gesù era una cosa, e con Gesù è un’altra cosa, completamente distinta. Dobbiamo passare da una spiritualità interiore, eccessivamente dipendente dall’inquadramento sociologico e dalle sue pratiche, a un’altra, più interiore, che ci permette di scoprire che Dio è Padre, è mio Padre, è il “Padre nostro”.

Quando Gesù decide di insegnare il Padre nostro ai discepoli? Quando questi sono capaci di percepire Gesù come un avvenimento assolutamente nuovo. La preghiera è conseguenza, più che causa. È espressione del vissuto, più che una scoperta. Il Padre nostro nasce da un cammino. Ed è al culmine di una tappa di maturazione che il Padre nostro è rivelato. Anche noi dovremo recitare il Padre nostro, con verità, quando avremo capito, non solo lungo la linea della storia e della sua spuma, ma nel più profondo di noi stessi, che Gesù Cristo porta la novità di Dio. Forse a tale fine dobbiamo, come raccomandava Fernando Pessoa, «imparare a disimparare». Disimparare i labirinti, tutte le trame, i modelli che ci soffocano e servono soltanto per farci rimandare il necessario incontro con noi stessi. Gesù ci fa accedere a una soglia nuova di Dio e della nostra umanità. E proprio perché aveva presentito tutto quanto abbiamo visto, quel discepolo chiese a Gesù: «Maestro, insegnaci a pregare».

Fede e Gioia…. Pienezza di vita

GIOIA E FEDE

“Combatti la buona battaglia della fede, afferra la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni.

(San Paolo a Timoteo, I Tim 6,12)

___________

Vivi la vita come un dono
e afferrala con tutte le forze.
Manifesta con gioia e coraggio
la tua fede nel Cristo Risorto.

Non vivere di nascosto la tua fede,
come se ti possa appagare
viverla privatamente.

Fa che gli altri se ne accorgano!
La fede vissuta di nascosto
e come fatto privato rimane sterile.

Quella testimoniata
con amore, coraggio e generosità
feconda il mondo, lo trasforma
e affretta la venuta del Regno di Dio.

___________________

Solo una vita trasformata da una fede forte, felice, comunitaria e protesa verso gli altri potrà dare a noi cristiani credibilità… e l’energia necessaria per trasformare il mondo.

(E.C.)

La fede. La più grande risposta alla vita. E la più potente.

 

Fede - Sguardo verso il tramonto

Dio rimane fedele a Se stesso
e non viene mai meno alle sue promesse.
A noi chiede l’umiltà e il sacrificio
di saper imparare,
giorno, dopo giorno,
a portare la croce,
con Gesù,
e a percorrere vie impervie,
e a volte dolorose,
che la vita ci riserva
(Dio non infligge mai sofferenza),
perché possiamo “scoprire” (lett. svelare)
il mistero della sua misericordia
e l’ampiezza del Suo amore,
da cui nessuno essere vivente è escluso.
Noi non siamo mai soli.
Lo diventiamo
solo quando dimentichiamo l’Amore di Dio.
Ma neanche allora Dio si dimentica….

*

LA FEDE È LA PIÙ GRANDE E PIÙ POTENTE RISPOSTA CHE L’UOMO PUÒ DARE ALL’AVER RICEVUTO IL DONO DELLA VITA.

*

(E.C.)

Uomini e donne che hanno il coraggio di sperare nel futuro e nei cui occhi il futuro già splende come realtà

Non esiste futuro senza uomini e donne capaci di sognare e di mettersi in gioco per esso, sapendo che il futuro è nelle nostre mani; è ciò che noi decideremo che sia.

Non esistono persone capaci di mettersi in gioco per un futuro senza che abbiano una “visione di futuro”… Una visione che li accenda di passione e guidi il loro agire.

Non esistono persone con una “visione di futuro” che prima o poi non pagheranno per il coraggio di essere rimasti fedeli a una visione… ad una speranza, quando tutti gli altri calcoli lasciavano credere che sarebbe stato più …”opportuno”… rinunciare.

E se intere generazioni attraverseranno, un giorno, il varco verso il futuro, lo si dovrà alla testardaggine e alla tenacia di coloro che hanno creduto e che, credendo, hanno accettato di pagare di tasca propria, per primi, il pedaggio… Sapendo in ogni istante che il loro sogno poteva essere anche solo una illusione.

E cosa permette di distinguere il sogno dall’illusione? Una fede tenace, spesso sofferta, con la prova di molti dubbi ma umile e fiduciosa che Dio conduce la storia.

In memoria di padre Riccardo Lombardi sj (+ 14 dicembre 1979)

La preghiera che nasce dalla fede e che rafforza tutto l’uomo

(adattamento di un articolo di Carlo Molari, La logica della preghiera, sulla rivista Rocca, Assisi, 15.11.2010)

La preghiera è un atteggiamento spontaneo della religiosità umana. Lo stupore di fronte  al creato si traduce in lode, la gioia dei doni ricevuti  in ringraziamento, la condizione di necessità in supplica, il bisogno in invocazione. Secondo, quindi i diversi aspetti dell’esperienza umana, la dimensione religiosa dell’uomo fa fiorire molte forme di preghiera.

Quando la religiosità e il mondo di Dio sono anche il distintivo di una epoca e di una sua cultura – come lo fu il Medioevo – queste dinamiche sono accentuate. Oggi – in cui è l’uomo, anzi la sua tecnica al centro della cultura – queste dinamiche vivono complesse  modificazioni, fino a spegnersi. In realtà, un certo fuoco resta sempre sotto la cenere.

Dato però che nella religiosità al centro c’è l’uomo e il mondo della sua esperienza, la preghiera non è immune da ambiguità e da errori, che dipendono da una sbagliata  o inadeguata immagine di Dio e della sua azione. Questi errori sono tra le molte cause dello stesso ateismo, come afferma il Concilio:

“Nella genesi dell’ateismo possono contribuire non poco i credenti, nella misura in cui, per aver trascurato di educare la propria fede, o per una presentazione ingannevole della dottrina, od anche per i difetti della propria vita religiosa, morale e sociale, si deve dire piuttosto che nascondono e non che manifestano il genuino volto di Dio e della religione” (GS 19).

Essendo questo ateismo “un fenomeno non originario, ma derivato”, esso sfida la nostra maturità spirituale. Continua infatti così il Concilio:

“Il rimedio all’ateismo, lo si deve attendere sia dall’esposizione adeguata della dottrina della Chiesa, sia dalla purezza della vita di essa e dei suoi membri. La Chiesa infatti ha il compito di rendere presenti e quasi visibili Dio Padre e il Figlio suo incarnato, rinnovando se stessa e purificandosi senza posa sotto la guida dello Spirito Santo. Ciò si otterrà anzi tutto con la testimonianza di una fede viva e adulta, vale a dire opportunamente formata a riconoscere in maniera lucida le difficoltà e capace di superarle” (GS 21).

La prova di un’epoca areligiosa ci chiama in causa e ci serve, quindi, per purificare la nostra religiosità e illuminarla con la luce del Vangelo e con l’esperienza della vita di Gesù.

La preghiera, soprattutto quella di domanda, non serve per far conoscere a Dio ciò di cui abbiamo bisogno, né vuole sollecitarlo a fare qualcosa che non sta facendo, ma è ordinata a cambiare noi che preghiamo, per essere in grado di capire ciò che la vita esige e di realizzarlo. Pregare è metterci in sintonia con l’energia creatrice che alimenta il nostro sviluppo di creature, rendendoci capaci di accogliere, esprimere e comunicare forza vitale in modo più profondo.

La preghiera per l’esercizio della fede che implica, amplia la nostra capacità di accogliere la forza vitale per diventare capace di agire in modo nuovo. La preghiera, in conclusione, non cambia Dio, ma noi stessi. Per questo non servono molte parole, ma molta concentrazione, come dice Gesù: «non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate» (Mt 6,8).

La continuità della preghiera è necessaria sia per la durezza del cuore da cambiare, sia per la ricchezza dei doni vitali da interiorizzare. Più infatti cresciamo interiormente, più la vita si espande e aumenta l’esigenza di aprirci al flusso dello Spirito per accogliere e far fiorire i suoi doni. Gesù insegnava a pregare sempre (Lc 18,1), non tanto dicendo formule, quanto incontrando Dio.

Nel cosmo e nella storia Dio non fa nulla in più di ciò che operano le creature. La forza creatrice non agisce accanto o al posto delle cose o delle persone, ma le alimenta in modo che esse siano e possano operare. Noi sviluppiamo pienamente la nostra dimensione interiore quando viviamo secondo questa consapevolezza. La preghiera è appunto il metodo per realizzare la piena sintonia con l’attiva presenza di Dio in noi in modo da far fiorire compiutamente le sue diverse dimensioni.

Siccome opera nel cosmo e nella storia sempre e solo attraverso creature, Dio assume i loro limiti, sia spaziali che temporali. Egli esprime attraverso di loro solo ciò che esse sono in grado di portare. Il dono di Dio, perciò, si sviluppa nel tempo e non può essere accolto totalmente in un istante. Dio, perciò, nella storia umana e nel cosmo può esprimere la sua perfezione solo a piccoli frammenti nella successione degli eventi storici. Dio è onnipotente in sé e nel compimento finale quando sarà tutto in tutti (l Cor 15, 38).

Tutto è dono e resta sempre tale. L’uomo non diventa mai il Vivente. La condizione per realizzare una interiorizzazione piena è la consapevolezza che la creatura è un nulla attraversato continuamente da una forza creatrice, un vuoto in cui risuona sempre una Parola originaria. Quando la persona opera con tale convinzione, si lascia investire dalla forza creatrice e consente alla Parola di attraversarla, rendendola viva. Anche le sue contraddizioni pian piano si dileguano. La preghiera esercita allora la sua completa funzione.

Pregare in segreto

Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno gia ricevuto la loro ricompensa. Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”. (Mt 6,5)

 La vera preghiera. Il Padre Nostro

Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate. Voi dunque pregate così:  Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome;
venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male.

Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.

Il mistero di Dio. Trovare il buio nel cuore della luce. Ed esserne illuminati.

Dio non è la riposta a tutte le domande della vita. È la causa di tutte le domande. E dell’inquietudine che spinge a cercare in Lui ogni risposta.

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Più ci rifletto, più guardo intorno a me…. e più mi convinco nel profondo del mio cuore: davanti allo smarrimento del nostro tempo, Dio non è la risposta a tutte le domande dell’uomo ma, al contrario, la sorgente che è all’origine di tutte le domande e che muove il cuore a cercare le risposte.

È la fede che ci rivela che le risposte stanno in lui, ma il cuore, quando questo si sveglia di soprassalto e comincia a chiedersi di Dio, conosce dapprima solo l’inquietudine della domanda, non la certezza della risposta. E questa inquietudine rimane per tutta la vita. Perché anche nella persona di fede, mentre avviene l’adesione a cio che di Dio ci è dato di conoscere per il dono della rivelazione, le domande non cessano. Spesso si fanno più insistenti.

Dio non è la risposta…
È la domanda primordiale.
Non è la certezza…
È l’inquietudine.
Dio non è l’ovvio…
È tutto, fuorché l’ovvio.

In bocca a molti credenti sembrerebbe che Dio sia la cosa più ovvia e certa di questo mondo, come la soluzione di un algoritmo che spiega tutti i misteri del mondo.

Invece mi sembra che Egli sia l’origine dell’inquietudine che spinge l’uomo a compiere il pellegrinaggio della ricerca alla risposta alle domande sollevate dalla vita. In un tempo in cui si va spegnendo, nel cuore dell’uomo, l’inquietudine della ricerca, Dio è Colui che risveglia nell’uomo l’inquietudine e la forza della domanda, l’insonnia che sta all’origine del destarsi e del partire. È la forza motrice del cammino. Dio è la causa prima che ci rende veramente umani.

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È nella fede e soltanto in virtù della fede, che Dio, per mezzo di Gesù di Nazaret, diventa comprensibile all’uomo, che il tormento dell’inquietudine acquista un senso, una direzione, una bussola. È solo in virtù della fede che Dio, in Cristo, diventa non solo la causa di tutte le domande, ma il punto di attrazione finale dove, per fede, il credente sa che risiede la risposta. È nella fede e soltanto in virtù della fede, che Dio, in Cristo, diventando sia la causa di tutte le domande, come anche il punto di attrazione finale, diviene anche la Strada, ossia la Via che conduce alla Verità, e la Verità stessa. Verità che è sorgente della vita e che è la Vita.

Poiché questa certezza è raggiungibile solo nella fede e per mezzo di essa, Dio non può essere mai accostato dal credente con troppa confidenza. Non può mai essere impugnato davanti al mondo come la soluzione a tutti i problemi dell’uomo, nella maniera di una formula aritmetica. C’è troppa ostentazione, troppa arroganza in tanti nel pronunciare il nome di Gesù di Nazaret. Troppo poco rispetto del mistero di Dio che, per quanto rivelato in Cristo all’umanità, rimane in sé insondabile e chiede un rispetto sacro della mente e del cuore.

Per questo è necessario imparare un linguaggio che sappia comunicare la fede e annunciare Gesù di Nazaret in modo nuovo. Occorre riscoprire la forza e la bellezza di un annuncio che sappia passare attraverso la notte dell’esistenza, che sappia arrestarsi davanti al l’oscurità del dubbio senza la pretesa ad ogni costo di offrire la soluzione. Occorre imparare l’annuncio di Cristo con il linguaggio di chi non ha paura di abitare la notte con tutte le sue domande, piuttosto che parlare di Cristo come se l’esperienza di Lui significa possedere tutte le certezze.

Occorre l’umiltà di una fede che sa che il passaggio dalla notte al giorno non è passaggio dalla ricerca al possesso, ma dalla dispersione, ossia dalla damnatio, all’esperienza della luce del Risorto. E sotto la guida di questa luce la vita acquista una direzione, un senso, mentre giorno dopo giorno, preghiera dopo preghiera, prova dopo prova, si compie il grande pellegrinaggio verso la risposta definitiva, verso il riposo e la quiete, verso la pace dell’anima.

Cristo è la nostra pace.

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“Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia; grazia che ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma è stata rivelata solo ora con l’apparizione del Salvatore nostro Cristo Gesù, che ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’immortalità per mezzo del Vangelo, del quale io sono stato costituito araldo, apostolo e maestro”.
(2Tm 1,1-3.6-12)

“Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo”. (Ef 2,4-10)

(EC)

Potenza della fede e conferme dello Spirito (E.C.)

“Abbiate sempre accesa

la lampada della vostra fede in Cristo

e siate senza paura;

Camminate con passo

spedito e vigoroso.

Siate sempre nella Verità

e servitela con la vostra vita.

Non fate nulla per vile interesse

né per vanagloria.

Avrete in Gesù la luce

che illuminerà le tenebre

della vostra anima

e sarete luce per il mondo.

Verranno a voi in molti

per attingere a questa luce

e sarete riconosciuti dai piccoli di Dio.

In questo avrete conferma

che lo Spirito sta operando in voi

E che si sta servendo di voi

per compiere la sua opera.

Restate umili… Siate docili…

Rimanete nella Verità e nella Carità

e non temete

né minacce né calunnie…

Affrontate con serenità e coraggio

le prove; non vi agitate.

Non si turbi il vostro cuore

perché non sarete soli.

Lo Spirito del Risorto sarà

la vostra consolazione.

Cristo sarà la vostra corona di gloria…

il vostro vanto…

la vostra gioia.

Cristo sarà la vostra beatitudine.”

 

(E.C.)