La straordinaria storia di Giana Jessen, sopravvissuta ad un aborto

Non sono sopravvissuta ad un aborto per rendere la vita più comoda agli altri. Il paradosso della mia vita è che il medico che doveva firmare il mio certificato di morte, proprio quel medico che aveva praticato il mio aborto, dovette apporre la sua firma sul certificato della mia nascita, cosicché oggi conosco il suo nome. Io so che in questi ambiente è terribilmente scomodo fare il nome di Cristo, perché quello di Cristo è un nome che scomoda la vita di molti benpensanti. Ma io non sono sopravvissuta ad un aborto per rendere la vita più facile a chi si sente infastidito dal nome di Cristo“!

Jana Jessen, sopravissuta ad un aborto

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Toccante, lacerante, coinvolgente, nelle sue parole la potenza di Dio come un fiume in piena”E’ proprio vero: solo l’amore salva. Il resto è tutto menzogna” (E.C.)

Video parte 1

Video parte 2

“Sono stata abortita e non sono morta. La mia madre biologica era incinta di sette mesi quando andò da “Planned Parenthood” nella California del sud e le consigliarono di effettuare un aborto salino tardivo. Un aborto salino consiste nell’iniezione di una soluzione di sale nell’utero della madre. Il bambino inghiottisce la soluzione, che brucia il bambino dentro e fuori, e poi la madre partorisce un bambino morto entro 24 ore. Questo è capitato a me! Sono rimasta nella soluzione per circa 18 ore e sono stata partorita VIVA il 6 aprile 1977 alle 6 del mattino in una clinica per aborti della California. C’erano giovani donne nella stanza che avevano appena ricevuto le loro iniezioni ed aspettavano di partorire bambini morti. Quando mi videro, provarono l’orrore dell’omicidio. Un’infermiera chiamò un’ambulanza e mi fece trasferire all’ospedale. Fortunatamente per me il medico abortista non era alla clinica. Ero arrivata in anticipo, non si aspettavano la mia morte fino alle 9 del mattino, quando sarebbe probabilmente arrivato per il turno d’ufficio. Sono sicura che non sarei qui oggi se il medico abortista fosse stato alla clinica dato che il suo lavoro è togliere la vita, non sostenerla. Qualcuno ha detto che sono un “aborto mal riuscito”, il risultato di un lavoro non ben fatto. Fui salvata dal puro potere di Gesù Cristo. Signore e Signori, dovrei essere cieca, bruciata… dovrei essere morta! E tuttavia, io vivo!
Rimasi all’ospedale per circa tre mesi. Non c’era molta speranza per me all’inizio. Pesavo solo nove etti. Oggi, sono sopravvissuti bambini più piccoli di quanto lo ero io. Un medico una volta mi disse che avevo una gran voglia di vivere e che lottavo per la mia vita. Alla fine potei lasciare l’ospedale ed essere data in adozione.

Per via di una mancanza di ossigeno durante l’aborto vivo con la paralisi cerebrale. Quando mi fu diagnosticata, tutto quello che potevo fare era stare sdraiata. Dissero alla mia madre adottiva che difficilmente avrei mai potuto gattonare o camminare. Non riuscivo a tirarmi su e mettermi a sedere da sola. Attraverso le preghiere e l’impegno della mia madre adottiva, e poi di tanta altra gente, alla fine ho imparato a sedere, a gattonare e stare in piedi. Camminavo con un girello e un apparecchio ortopedico alle gambe poco prima di compiere quattro anni. Fui adottata legalmente dalla figlia della mia madre adottiva, Diana De Paul, pochi mesi dopo che cominciai a camminare. Il Dipartimento dei Servizi Sociali non mi avrebbe rilasciato prima per essere adottata.

Ho continuato la fisioterapia per la mia disabilità e, dopo in tutto quattro interventi chirurgici, ora posso camminare senza assistenza. Non è sempre facile. A volte cado, ma ho imparato a cadere con grazia dopo essere caduta per 19 anni.

Sono così grata per la mia paralisi cerebrale. Mi permette di dipendere veramente solo da Gesù per ogni cosa.

Sono felice di essere viva. Sono quasi morta. Ogni giorno ringrazio Dio per la vita. Non mi considero un sottoprodotto del concepimento, un pezzo di tessuto, o un altro dei titoli dati ad un bambino nell’utero. Non penso che nessuna persona concepita sia una di quelle cose.

Ho incontrato altri sopravvissuti all’aborto. Sono tutti grati per la vita. Solo alcuni mesi fa ho incontrato un’altra sopravvissuta all’aborto. Si chiama Sarah. Ha due anni. Anche Sarah ha la paralisi cerebrale, ma la sua diagnosi non è buona. È cieca ed ha delle gravi crisi . L’abortista, oltre ad iniettare nella madre la soluzione salina, la inietta anche nelle piccole vittime. A Sarah l’ha iniettata nella testa. Ho visto il punto della sua testa dove l’ha fatto. Quando parlo, non parlo solo per me stessa, ma per gli altri sopravvissuti, come Sarah, ed anche per quelli che non possono parlare…

Oggi, un bambino è un bambino, quando fa comodo. È un tessuto o qualcos’altro quando non è il momento giusto. Un bambino è un bambino quando c’è un aborto spontaneo a due, tre, quattro mesi. Un bambino è chiamato tessuto o massa di cellule quando l’aborto volontario avviene a due, tre, quattro mesi. Perché? Non vedo differenza. Che cosa vedete? Molti chiudono gli occhi…

La cosa migliore che posso farvi vedere per difendere la vita è la mia vita. È stata un grande dono. Uccidere non è la risposta a nessuna domanda o situazione. Fatemi vedere come possa essere la risposta.

C’è una frase incisa negli alti soffitti di uno degli edifici del parlamento del nostro stato [la California]. La frase dice: “Ciò che è moralmente sbagliato, non è corretto politicamente”. L’aborto è moralmente sbagliato. Il nostro paese sta spargendo il sangue degli innocenti. L’America sta uccidento il suo futuro.
Tutta la vita ha valore. Tutta la vita è un dono del nostro Creatore. Dobbiamo ricevere e conservare i doni che ci sono dati. Dobbiamo onorare il diritto alla vita.
Quando le libertà di un gruppo di cittadini indifesi sono violate, come per i nascituri, i neonati, i disabili e i cosiddetti “imperfetti”, capiamo che le nostre libertà come NAZIONE e Individui sono in grande pericolo.

Vengo oggi a parlare in favore di questa legge a favore della protezione della vita. Vongo a parlare per conto dei bimbi che sono morti e per quelli condannati a morte. Learned Hand, un giurista americano rispettato (del nostro secolo) disse: “Lo spirito della libertà è lo spirito che non è troppo sicuro di essere giusto; lo spirito della libertà è lo spirito che cerca di capire le opinioni degli altri uomini e donne; lo spirito della libertà è lo spirito che pesa i loro interessi insieme ai propri, senza pregiudizi; lo spirito della libertà ci ricorda che neanche un passero cade a terra inosservato; lo spirito della libertà è lo spirito di Colui che, circa 2000 anni fa, ha insegnato all’umanità la lezione che non ha mai imparato, ma non ha mai dimenticato; che c’è un regno dove gli ultimi saranno ascoltati e considerati accanto ai più grandi.”
Dov’è l’anima dell’America?! Voi membri di questo comitato: dov’è il VOSTRO cuore? Come potete trattare le questioni di una nazione senza esaminare la sua anima? Uno spirito omicida non si fermerà davanti a nulla finché non avrà divorato una nazione. Il Salmo 52,2-4 dice: “Lo stolto pensa: «Dio non esiste». Sono corrotti, fanno cose abominevoli, nessuno fa il bene. Dio dal cielo si china sui figli dell’uomo per vedere se c’è un uomo saggio che cerca Dio. Tutti hanno traviato, tutti sono corrotti; nessuno fa il bene; neppure uno.”

Adolf Hitler una volta disse: “L’abilità ricettiva delle grandi masse è solo molto limitata, la loro comprensione è piccola; d’altro lato la loro smemoratezza è grande. Essendo così, tutta la propaganda efficace deve essere limitata a pochissimi punti che a loro volta dovrebbero essere usati come slogan finché l’ultimo uomo sia capace di immaginare che cosa significhino tali parole”. Gli slogan di oggi sono: “Il diritto di una donna di scegliere”, “Libertà di scelta”, eccetera.
C’era una volta un uomo che parlava dall’inferno (ne parla il capitolo 16 di Luca) che disse: “Sono tormentato da questa fiamma”. L’inferno è reale. Così lo è Satana, e lo stesso odio che crocifisse Gesù 2000 anni fa, ancora si trova nei cuori dei peccatori oggi. Perché pensate che questa intera aula tremi quando menziono il nome di Gesù Cristo? È così perché Egli è REALE! Egli può dare grazia per il pentimento e perdono a voi ed all’America. Noi siamo sotto il giudizio di Dio – ma possiamo essere salvati attraverso Cristo. Dice la Lettera ai Romani: 5,8-10: “Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati per il suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo NEMICI, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita.”

La morte non ha prevalso su di me… ed io sono così grata!”

(Ripreso dalla pagina Facebook di Giovanni Paolo II)

Jana Jessen su “Italia sul 2” il 6 giugno 2012

Il Card. Luciani al Concilio. Un uomo di fede che non temeva il mondo

A qualche vescovo, spaventato dalle aperture del Concilio al mondo e alla libertà religiosa, il futuro Papa Luciani rispose: fate meglio il catechismo.

La risposta non costruire trincee per difendere il cattolicesimo contro un mondo, ritenuto la fonte e il luogo di tutti i mali.

Così il futuro Giovanni Paolo I ha vissuto il Concilio

Andrea Tornielli – Vatican Insider 6/08/2012 Città del Vaticano

Le celebrazioni per il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio ecumenico Vaticano II, previste per il prossimo ottobre, cadono in un momento nel quale l’interpretazione dei testi conciliari è un tema d’attualità nella vita della Chiesa, dopo l’ormai celebre discorso di Papa Ratzinger (dicembre 2005) sulla corretta ermeneutica e il permanere del dissenso sia sul fronte progressista che su quello tradizionalista.

L’11 ottobre 1962, alla cerimonia di apertura, c’era anche un giovane prelato, consacrato Vescovo di Vittorio Veneto dallo stesso Giovanni XXIII quattro anni prima. Era Albino Luciani, e sarebbe stato il primo Papa ad aver vissuto da vescovo il Concilio e ad averlo applicato nelle sue diocesi. È interessante innanzitutto notare (come ha fatto Marco Roncalli nella sua recente e corposa biografia su Luciani, edita da San Paolo) che cosa l’allora vescovo di Vittorio Veneto avesse auspicato nel testo inviato a Roma durante la fase preparatoria. Luciani, nel suo voto, auspicava che il futuro Concilio mettesse in luce l’«ottimismo cristiano» insito nell’insegnamento del Risorto, contro «il diffuso pessimismo» della cultura relativistica, denunciando una sostanziale ignoranza delle «cose elementari della fede».

Il futuro Papa non aveva manifestato particolare interesse per i temi «tecnici» relativi a nuovi modi di consultazione collegiali degli episcopati, e non aveva fatto alla questione biblica, ecumenica, ecclesiologica. Aveva posto invece a tema la necessità di tornare ad annunciare le «cose elementari della fede», notando già allora la crisi della trasmissione dei suoi contenuti, segno della secolarizzazione. Quanto all’interpretazione globale da dare al Concilio, monsignor Luciani si attesta su una linea che corrisponde pienamente a quell’ermeneutica della riforma nella continuità proposta da Benedetto XVI come la chiave interpretativa più corretta del Vaticano II.

«Alla Chiesa cattolica – scriveva il vescovo di Vittorio Veneto – la fisionomia e le strutture sono state fissate, una volta per sempre, dal Signore e non si possono toccare. Semmai, si possono toccare le sovrastrutture: ciò che non Cristo, ma i papi o i concili o i fedeli stessi hanno introdotto ieri, può essere tolto o mutato oggi o domani. Hanno introdotto ieri un certo numero di diocesi, un certo sistema nel dirigere le missioni, nel preparare 1 sacerdoti, hanno usato un certo tipo di cultura? Si può cambiare e si potrà dire: “La Chiesa che esce dal Concilio è ancora quella di ieri ma rinnovata”. Mai si potrà, invece, dire: “Abbiamo una Chiesa nuova, diversa da quella di ieri”» Ma è interessante anche notare il modo in cui Luciani visse il lungo processo che portò alla promulgazione della dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa «Dignitatis humanae».

«La libertà religiosa, rettamente intesa, però – scriveva Luciani – perché non avessimo a capire a rovescio. Tutti siamo d’accordo che c’è una sola vera religione, e chi la conosce è obbligato a praticare quella e basta. Ma, detto questo, ci sono anche altre cose che sono giuste e bisogna dirle. Cioè, chi non è convinto dal cattolicesimo ha il diritto di professare la sua religione per più motivi. Il diritto naturale dice che ciascuno ha il diritto di cercare la verità. Ora guardate che la verità, specialmente religiosa, non si può cercarla chiudendosi in una stanza e leggendo qualche libro. La si cerca seriamente parlando con gli altri, consultandosi… Si dice per modo di dire i diritti della verità, ma ci sono solo persone fisiche o morali che non hanno diritto di cercare la verità. Quindi non abbiate paura di dare uno schiaffo alla verità quando date a una persona il diritto di usare della sua libertà» «La scelta della religione deve essere libera – spiegava ancora il vescovo di Vittorio Veneto – quanto più è libera e convinta, tanto più chi l’abbraccia se ne sente onorato. Questi sono i diritti, i diritti naturali.

Ora, non c’è un diritto al quale non corrisponda anche un dovere. I non cattolici hanno il diritto di professare la loro religione, e io ho il dovere di rispettare il loro diritto: io privato, io prete, io vescovo, io Stato». Concludeva Luciani: «Qualche vescovo si è spaventato: ma allora domani vengono i buddisti e fanno la loro propaganda a Roma, vengono a convertire l’Italia. Oppure ci sono quattromila musulmani a Roma: hanno diritto di costruirsi una moschea. Non c’è niente da dire: bisogna lasciarli fare. Se volete che i vostri figli non si facciano buddisti o non diventino musulmani, dovete fare meglio il catechismo, fare in modo che siano veramente convinti della loro religione cattolica». «Dovete fare meglio il catechismo», cioè annunciare nuovamente la fede cristiana senza dare nulla per scontato. Una prospettiva che Benedetto XVI ha ben presente e che ha indicato come prioritaria nell’Anno della Fede.

Gianna Beretta Molla, testimone della vita

Ilaria Solaini – Avvenire 28 aprile 2012

«Donna meravigliosa amante della vita, sposa, madre, medico professionista esemplare offrì la sua vita per non violare il mistero della dignità della vita». Un’esemplare santità, quella di Gianna Beretta Molla, sintetizzata con queste parole dal cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo emerito di Milano, che oggi viene celebrata a cinquant’anni dalla sua morte.

Poco prima del parto, pur confidando sempre nell’Amore misericordioso, la futura santa aveva detto al marito Pietro Molla: «Se dovete decidere fra me e il bambino che porto in grembo non abbiate esitazione: scegliete il piccolo, lo esigo. Salvatelo». Quella sua scelta estrema, avvenuta nell’ospedale di Monza il 21 aprile del 1962, che causò, dopo una settimana di sofferenze, la sua morte, il 28 aprile 1962, è stata il culmine di un’esistenza vissuta in una quotidiana straordinarietà.

«Sull’esempio di Cristo, che “avendo amato i suoi… li amò sino alla fine” (Gv 13,1), questa santa madre di famiglia – aveva affermato nel rito di canonizzazione, il 16 maggio 2004, papa Giovanni Paolo II – si mantenne eroicamente fedele all’impegno assunto il giorno del matrimonio. Il sacrificio estremo che suggellò la sua vita testimonia come solo chi ha il coraggio di donarsi totalmente a Dio e ai fratelli realizzi se stesso».

Ricorre oggi il 50° anniversario della morte della prima madre di famiglia che è stata riconosciuta come santa dalla Chiesa: le celebrazioni iniziate, nei giorni scorsi, per il 18° anniversario della beatificazione (24 aprile 1994), andranno avanti anche in occasione dell’ottavo anniversario della canonizzazione. Da Mesero a Pontenuovo fino a Magenta, oggi il cuore delle celebrazioni per la memoria liturgica. Nella Cappella di famiglia al cimitero di Mesero, dove riposano le spoglie di Gianna Beretta Molla l’Eucaristia presieduta dal vescovo ausiliare e vicario generale dell’arcidiocesi di Milano, Carlo Maria Redaelli. Alla Madonna del Buon Consiglio a Pontenuovo di Magenta, alle 7.30 in programma le lodi, alle 8 la Messa. A Magenta, in Basilica, l’Eucaristia alle 18 presieduta dal cardinale Raymond Leo Burke, prefetto del Supremo tribunale della Segnatura apostolica. In serata al Santuario della Famiglia intitolato alla santa, a Mesero, alle 21, un concerto gospel a cura del gruppo «Unavoce» di San Donato Milanese.

Decima di tredici figli, in famiglia, sull’esempio dei genitori, Gianna viene educata con amore e serenità alla coerenza della vita cristiana. La Prima Comunione, all’età di cinque anni e mezzo, è il primo segno di quella «radicalità legata al nome di Gesù» che sarà presente in Gianna fino alla fine, e che è da subito sostegno e luce della sua fanciullezza, adolescenza e giovinezza. Negli anni del liceo e dell’università traduce la sua fede in un impegno generoso tra le giovani di Azione cattolica e verso gli anziani e i bisognosi nelle Conferenze di San Vincenzo. Laureata in Medicina e Chirurgia nel 1949 all’Università di Pavia, apre nel 1950 un ambulatorio medico a Mesero, si specializza in Pediatria nell’Università di Milano nel 1952. Alla sua professione di medico, vissuta come «missione», tra i suoi assistiti soprattutto mamme, bambini, anziani e indigenti, si affiancano il servizio nel consultorio delle mamme e all’asilo nido a Pontenuovo di Magenta e l’assistenza medica volontaria nelle scuole materne ed elementari. Con l’entusiasmo, la coerenza e la fede che caratterizzano le sue scelte, Gianna vive anche il dono del matrimonio: «Ho tanta fiducia nel Signore e sono certa che Lui mi aiuterà ad essere la tua degna sposa» scrive lei stessa in una lettera nel 1955 all’allora fidanzato Pietro Molla, divenuto poi il marito. A un anno dalle nozze arriva il primo figlio, Pierluigi, e qualche anno dopo le figlie Mariolina e Laura. Gianna sa armonizzare, con semplicità ed equilibrio, i doveri di madre, di moglie, di medico, e la sua gran gioia di vivere, che non viene meno nemmeno nel settembre 1961, quando al secondo mese dell’ennesima gravidanza, insorge un fibroma all’utero. Prima del necessario intervento operatorio, pur sapendo il rischio che avrebbe comportato il continuare la gravidanza, supplica il chirurgo di salvare la vita che porta in grembo e si affida alla preghiera. Dopo aver dato alla luce Gianna Emanuela il 21 aprile 1962, l’epilogo già ricordato. La madre santa compie il suo sacrificio, sussurrando sul letto di morte la preghiera «Gesù ti amo, Gesù ti amo» e lasciando il marito e i quattro figli. Aveva 39 anni. I suoi funerali furono una grande manifestazione unanime di commozione profonda, di fede e di preghiera.

 

Toniolo beato, «primato della solidarietà sugli interessi»

Giuseppe Toniolo Sociologo

(Treviso, 7 marzo 1845 – Pisa, 7 ottobre 1918)

Il nuovo beato Giuseppe Toniolo, proclamato domenica 29 aprile 2012, indica il primato della solidarietà sugli interessi delle singole nazioni. È quanto ha detto ieri mattina Benedetto XVI ricordando la cerimonia di beatificazione dell’economista, avvenuta nella basilica di San Paolo Fuori le Mura.

“Il suo messaggio è di grande attualità – ha spiegato il Pontefice – specialmente in questo tempo: il Beato Toniolo indica la via del primato della persona umana e della solidarietà. Egli scriveva: ‘Al di sopra degli stessi legittimi beni ed interessi delle singole nazioni e degli Stati, vi è una nota inscindibile che tutti li coordina ad unità, vale a dire il dovere della solidarietà umana”.

Avvenire 30 aprile 22012

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Professore di economia politica, fu uno dei maggiori ideologi della politica dei cattolici italiani e uno degli artefici del loro inserimento nella vita pubblica.
Giuseppe Toniolo nacque a Treviso il 7 marzo 1845; si laureò in giurisprudenza a Padova nel 1867, rimase nello stesso Ateneo in qualità di assistente, sino al 1872, trasferendosi successivamente prima a Venezia, dove insegnò Economia Politica, poi a Modena e infine a Pisa, quale docente universitario ordinario, incarico che occupò fino alla sua morte avvenuta nel 1918.
È necessario dare uno sguardo alla società politica in cui si trovò ad operare; dopo la Rivoluzione Francese ed il periodo napoleonico, che avevano sconvolto la Francia e l’intera Europa e dopo il Congresso di Vienna del 1815, si auspicò un ritorno all’antico legame fra la Chiesa e la società civile, che l’Illuminismo aveva incominciato a distinguere.
Ma il potere civile, sostenuto dalle dottrine della sovranità nazionale, diventava sempre più autonomo dalla vita religiosa; verso la metà del secolo, il filosofo danese Soren Kirkegaard (1813-1855), ritenendo ancora possibile la cristianità, notò che questa aveva abolito il cristianesimo senza accorgersene, quindi bisognava operare affinché il cristianesimo venisse reintrodotto nella cristianità.
Il mutato rapporto fra autorità civile e autorità religiosa, spinse molti cattolici di vari Paesi d’Europa, ad organizzarsi in movimenti di attiva opposizione alla nuova realtà politica e il 20 e 21 agosto 1863, fu organizzato a Malines in Belgio, il primo Congresso Cattolico Internazionale, al quale parteciparono le varie Associazioni sorte in Europa, tranne l’Italia rappresentata solo da quattro laici e due monsignori.
Questo perché in Italia tutto fu complicato dalla “Questione Romana”, e in particolare dal potere temporale del papato su una parte del territorio italiano, rivendicato dal Regno d’Italia costituitosi nel 1862; creando così una frattura nella coscienza di molti cattolici.
I laici italiani erano aggregati in associazioni limitate alle plurisecolari confraternite, con scopi di una particolare devozione religiosa, mutuo aiuto fra soci e attuando opere di carità.
Ormai era tempo di un nuovo associazionismo cattolico e nel 1867 in occasione del terzo Congresso di Malines, la prestigiosa rivista gesuita “La Civiltà Cattolica”, incitò i cattolici italiani, a formare associazioni, coalizioni, congressi, perché “questi mezzi sono, posto lo stato presente della società, efficacissimi”, non si poteva lasciarli agli avversari del cattolicesimo che se ne avvalevano contro.
E già il 29 giugno 1867, sorse la “Società della Gioventù Cattolica Italiana”, primo nucleo della successiva “Azione Cattolica Italiana”; intanto gli eventi politici precipitarono con la breccia di Porta Pia a Roma del 29 settembre 1870, la protesta di papa Pio IX che si chiuse in Vaticano; poi nel 1871 l’Italia emise le Leggi delle Guarentigie che assicuravano gli onori sovrani al pontefice e il godimento del Vaticano; nel luglio 1871 Roma divenne capitale d’Italia.
L’11 ottobre 1874 i contrasti non erano per niente finiti e il papa con il “non expedit”, vietò ai cattolici di candidarsi o di recarsi alle urne, trasformato nel divieto assoluto (non licet) del 29 gennaio 1877.
Dopo l’Azione Cattolica, sorsero in Italia una miriade di società, pie unioni, circoli, opere sociali, con una conseguente dispersione di energie, che resero necessaria la costituzione di un organismo coordinatore nel rispetto delle singole autonomie.
Il 26 settembre 1875, durante il secondo Congresso generale dei cattolici italiani, si creò l’”Opera dei Congressi e dei Comitati cattolici”, il cui primo Presidente fu Giovanni Acquaderni, fondatore con il conte Mario Fani, dell’Azione Cattolica.
Nella scia di questa Organizzazione, il 29 dicembre 1889 durante un convegno a Padova, venne costituita l’”Unione cattolica per gli studi sociali”, il cui presidente e fondatore fu il professor Giuseppe Toniolo, il quale nel 1893, la dotò del periodico “Rivista internazionale di scienze sociali e discipline ausiliarie”.
Ormai si era in un periodo pieno di fermenti politici, religiosi e culturali; il pensiero marxista spostava l’attenzione sulle condizioni delle masse proletarie, denunciandone le disagiate condizioni di vita e di lavoro, inoltre in campo economico, le idee di utilitarismo e di liberismo economico, sostenevano dannoso per la stabilità, qualunque intervento che potesse influire sull’azione delle componenti macroeconomiche; senza dimenticare che era il periodo della famosa enciclica sociale “Rerum Novarum” di papa Leone XIII, con la quale la Chiesa prendeva ufficialmente posizione in merito alla situazione operaia di quel tempo.
Giuseppe Toniolo, elaborò così una sua teoria, personale, sociologica, affermante il prevalere dell’etica e dello spirito cristiano sulle dure leggi dell’economia.
Propose una soluzione del problema sociale, che rifiutava sia l’“individualismo” del sistema capitalistico, che il “collettivismo” esasperato, propagato dal socialismo, attraverso la costituzione di corporazioni di padroni e lavoratori, riconosciute dallo Stato.
Nei suoi numerosi scritti, il Toniolo propose varie soluzioni: il riposo festivo, la limitazione delle ore lavorative, la difesa della piccola proprietà, la tutela del lavoro delle donne e dei ragazzi.
Dal punto di vista religioso, Giuseppe Toniolo fu fautore di unazione più decisa dei cattolici in campo sociale, al fine di una loro determinante partecipazione all’evoluzione storica di quegli anni, da qui le sue tante fondazioni.
Dal 1894 divenne uno degli animatori del movimento della “democrazia cristiana”, le cui basi furono esposte nel cosiddetto ‘programma di Milano’, con principi e proposte per il rinnovamento in senso cristiano della società.
Nel 1897 l’Opera dei Congressi, controllava 588 Casse Rurali, 668 Società Operaie, 708 Sezioni di giovani, una forza consistente, alla cui ombra sorgevano e si sviluppavano molte iniziative di forte impegno sociale.
Fondandosi sui suoi studi di storia economica medioevale della Toscana, oppose ai marxisti l’importanza dei fattori etici e spirituali sullo sviluppo dell’economia e difese il valore economico-sociale della religione, conciliando così fede e scienza.
Nel 1908 pubblicò il “trattato di economia sociale”, opera fondamentale per l’incidenza che ebbe sul nuovo movimento sociale cattolico italiano all’inizio del Novecento, che ben presto, sviluppò il sindacalismo cattolico (detto ‘bianco’ per distinguerlo da quello diretto da ‘rossi’); i cattolici dopo la sospensione del “non expedit” parteciperanno in massa alle lezioni del 1913, ottenendo per la prima volta dopo l’Unità d’Italia, una ventina di deputati cattolici.
Oltre alla sua opera fondamentale già citata, Toniolo scrisse: “La democrazia cristiana” (1900); “Il socialismo nella storia della civiltà“ (1902); “L’odierno problema sociologico” (1905); “L’unione popolare tra i cattolici d’Italia” (1908).
Degno sposo e padre di famiglia, professore emerito e apprezzato nell’Università, dirigente e fondatore di opere sociali, scrittore fecondo di economia e sociologia, cristiano tutto d’un pezzo e fedele alla Chiesa, stimato dai pontefici del suo tempo, amico e consigliere del Beato Bartolo Longo, nella fondazione del Santuario e opere annesse di Pompei; morì fra il cordoglio generale, il 7 ottobre 1918 a Pisa.

http://www.zam.it/biografia_Giuseppe_Toniolo

 

Gianna Beretta Molla – Santità che riverbera

Luciano Moia – Avvenire28 aprile 2012

Tutti i santi, grazie al coraggio controcorrente che ha permesso loro di vivere al di là degli schemi, sono in qualche modo pericolosi. Virtuosamente pericolosi. Ma i santi “familiari”, che hanno saputo intrecciare virtù cristiane e quotidianità domestica e hanno contagiato direttamente con le loro scelte il marito o la moglie, i figli, i fratelli e i parenti, presentano una quota ancora più elevata di dirompente contagiosità. Quindi diventano riferimenti di straordinaria umanità, capaci di allargare a cerchi concentrici l’esplosione del bene, di innescare vocazioni decisive, di prolungare per molti anni l’effetto positivo di un gesto, di una parola, di uno stile di vita.

Se ne aveva una percezione, profonda e sorprendente insieme, conversando con Pietro Molla, il marito della santa Gianna di cui oggi si ricorda il cinquantesimo anniversario della morte. Ingegnere, dirigente industriale, uomo tutto d’un pezzo come erano un tempo i figli della buona borghesia imprenditoriale lombarda, Pietro è morto due anni fa, il 3 aprile 2010. Aveva 98 anni. Ora, se la maternità coraggiosa di Gianna – che preferì morire piuttosto che mettere a rischio la nascita della sua quarta figlia – ha assunto i contorni dell’eroismo cristiano, dovremmo riflettere senza pregiudizi e con altrettanta attenzione sulla vita lunga e silenziosa di Pietro.

Se tralasciassimo la fede e la prospettiva cristiana, lo potremmo definire un uomo sfortunato. Si era sposato non più giovanissimo, almeno per l’epoca, visto che aveva ormai 43 anni. E, dopo soli sei anni e mezzo di matrimonio, si era ritrovato senza moglie e con quattro bambini da crescere, la più piccola appena nata, il più grande che vestiva appena il grembiulino della prima elementare. Una situazione tale da disorientare e atterrire anche l’uomo più coraggioso. Invece Pietro si è caricato del suo dolore e, per tanti anni, ha accompagnato con pazienza e con prudenza la crescita dei suoi figli. Tutte le testimonianze concordano nel riferire che, di fronte alla scelta estrema della moglie, non esitò un solo istante ad appoggiare quella decisione. Ma al di là delle versioni ufficiali e anche di quanto lui poi scrisse ricordando quei mesi di angosciante attesa, è facile immaginare la lacerazione di quell’animo, gli sguardi silenziosi, la sofferenza composta di un uomo educato a mettere al primo posto il dovere, ma non per questo insensibile di fronte alla prospettiva sconvolgente verso cui la moglie si stava avviando.

Di quelle settimane sospese tra la vita e l’infinito, rimangono pochi frammenti. Ma quanto mai eloquenti. Scriverà infatti anni dopo Pietro: «Mi preoccupava quel tuo silenzioso riordinare per giorni e giorni ogni angolo della nostra casa, ogni cassetto, ogni abito e oggetto personale come per un lunghissimo viaggio…». Lei partì infatti verso quella meta che aveva scelto sorretta da una fede senza scalfitture («Il Signore farà quello che è giusto per la mia famiglia»). Lui è rimasto per quasi mezzo secolo accanto ai suoi figli. Una scelta silenziosa, ma forte e controcorrente almeno quanto quella della moglie Gianna. A dimostrazione che in famiglia il bene non si può circoscrivere o limitare. Ecco perché oggi, anche se le date non coincidono, sarebbe giusto parlare di anniversario di coppia. In una luce che abbraccia con identico splendore un comune percorso. Che ancora continua.