Don Puglisi, il prete che faceva paura a Cosa nostra

 

di Jolanda Bufalini – “l’Unità” del 16 settembre 2013

 

PPP, Padre Pino Puglisi, a vent’anni dall’assassinio del parroco di Brancaccio, ci fulmina

l’acronimo uguale all’altro, di Pier Paolo Pasolini, ammazzato pure lui, tanto tempo prima, a Ostia,

nella protesta estrema contro il degrado materiale e morale dei ragazzi delle borgate.

Padre Puglisi, raccontano quelli che lo avevano conosciuto, non era un leader, era un prete del

territorio, non stava in chiesa, girava con la sua Panda rossa e parlava con tutti, con il sorriso sulle

labbra. Cioè non era uno che si atteggiava a leader ma leader lo era, cioè guida e pastore, tanto che

ha cambiato la vita delle persone, persino quella di Spatuzza che lo ammazzò ma, prima di vederlo

cadere, colse il suo sorriso e quella frase: «Vi aspettavo».

Fra le testimonianze che portarono alle condanne, per l’omicidio di Don Puglisi, dei Graviano, di

Gaspare Spatuzza, di Antonino Mangano e di Salvatore Grigoli, c’è quella di Giuseppe Carini,

allora un giovane specializzando in medicina legale. Le sue parole danno la misura di cosa possa

significare l’azione pacata e cocciuta di un sacerdote in una realtà profondamente mafiosa.

«Essendo nato in quell’ambiente, in quella situazione particolare del quartiere di Brancaccio

Ciaculli, posso dire di avere, praticamente, condiviso per certi aspetti quella cultura, quella mentalità, all’interno della quale o ti facevi forza da solo oppure iniziavi un po’ a soccombere, anche moralmente, psicologicamente … Essendo nato in quel quartiere, sono stato anche cresciuto con quel modo di pensare e frequentavo persone colluse con la criminalità … Ho vissuto con loro, ho giocato con loro e ho condiviso tutto quello che avevano condiviso con Cosa Nostra… Anzi posso dire di avere desiderato anch’io di entrare in quel mondo e posso dire che a poco a poco ci stavo riuscendo. Poi… ho saputo di questo sacerdote, padre Puglisi, che venne a Brancaccio … lui mi ha accettato così per come ero. Qualche volta lui mi guardava, cioè capiva questo disagio interiore e ne sapeva la provenienza».

Carini, sintetizza il magistrato, ha riferito che prima di frequentare padre Puglisi, egli, in occasione

delle consultazioni elettorali, si era adoperato per raccogliere consensi per i candidati favoriti,

distribuendo buoni benzina o pacchi di pasta. Si organizzavano pranzi e cene per 200-300 persone,

tutto pagato. Brancaccio – continua il racconto – era sempre stato un serbatoio democristiano, tranne

nel 1987, allorché si doveva votare partito socialista perché «doveva far uscire la gente dalle

carceri».

C’era anche, prosegue il testimone, «don Pietro Romano che diceva che bisognava fare

propaganda». Con padre Puglisi, invece, «si respirava tutt’altra aria». Una signora, facente funzioni

di segretaria del Consiglio di Quartiere, aveva organizzato una recita, alla quale avevano

presenziato l’on. Mario D’Acquisto ed alcuni consiglieri comunali, tra cui una signora chiamata la

«madrina di Brancaccio». In quella occasione padre Puglisi aveva preso la parola ed aveva avuto il

coraggio di dire: «Il quartiere è disagiato al massimo, senza una scuola media, gente disoccupata, …

situazioni familiari assurde, promiscuità incredibile e voi venite qui a chiedere voti, ma con quale

faccia vi presentate qui?».

Il padre non aveva buoni rapporti con il consiglio di quartiere. È interessante notare che nel

ventennale della morte, ora che Puglisi è stato beatificato, la circoscrizione si è dimenticata di

convocare l’assemblea per la commemorazione. Il consigliere Pd Ignazio Cracolici si è dimesso per

protesta. Puglisi è stato ammazzato la sera del suo compleanno, il 15 settembre 1993, sotto casa,

con le chiavi per aprire il portone in mano, un colpo secco alla nuca, dopo che gli assassini si erano

fatti consegnare il borsello. Per questo si poté pensare, all’inizio, a una rapina finita male. Ma le

testimonianze rivelarono le minacce di cui il prete era stato fatto segno nei mesi precedenti. «Negli

ultimi mesi di vita padre Puglisi era cambiato di umore: era divenuto molto riservato, aveva

cominciato ad allontanare coloro che gli erano stati più vicini, evitando che rimanessero con lui fino

a tarda sera. Proprio al Carini, il quale frequentava da interno l’istituto di Medicina Legale di

Palermo, aveva detto con tono serio: «Se dovesse succedere anche a me una cosa del genere, ti

Don Pino Puglisi, Martire di Cristo ucciso “in odio alla fede”

Perché padre Pino Puglisi è stato proclamato martire

Ucciso dalla mafia «in odium fidei»

Puglisi

Don Pino Puglisi 1937-1993), il parroco del quartiere palermitano di Brancaccio ucciso dalla mafia, è stato proclamato beato, perché riconosciuto martire dalla Chiesa, in quanto l’omicidio è avvenuto in odium fidei.

Il fatto costituisce un’assoluta novità riguardo alla plurisecolare tradizione della Chiesa in ordine al riconoscimento del martirio. Don Puglisi è stato assassinato, infatti, da un killer che ha ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana e che appartiene a un’organizzazione criminale — la mafia — la quale fa proprio del paludamento religioso una peculiare caratteristica, pur essendo, in realtà, un’organizzazione atea e antievangelica. Puglisi è stato un presbitero ucciso per avere vissuto fino in fondo le virtù richieste da una vita coerente con la fede cristiana. Vita evangelicamente inerme, condotta con la chiara consapevolezza che questa modalità di esistenza avrebbe potuto comportare l’uccisione da parte di un’organizzazione che non accetta il messaggio cristiano, nelle sue variegate sfaccettature.

Il suo delitto, ravvisato come martirio, fa sì che la Chiesa tutta possa togliere definitivamente la maschera a quella forma idolatrica di religiosità che è la mafia. Il suo sacrificio ha ribadito con forza alla compagine ecclesiale che non si possono servire due padroni e che non esiste una sequela Christi, e una consequenziale testimonianza della fede e delle realtà spirituali da parte di un pastore, che non si coniughi strettamente con la promozione della dignità della condizione umana dei credenti a lui affidati.[1]

 

Nel cuore di Brancaccio

Don Pino nasce a Palermo, proprio nel quartiere di Brancaccio, il 15 settembre 1937, da famiglia semplice e povera. A sedici anni entra in seminario e il 2 luglio 1960 riceve l’ordinazione presbiterale. Dopo aver svolto per alcuni anni il ministero di vicario parrocchiale, inizia l’insegnamento della religione. E proprio a scuola incontra una collega di lettere che gli fa conoscere il movimento di ispirazione francescana Presenza del Vangelo, che pone al centro della propria spiritualità la Parola, al quale don Pino si legherà particolarmente. Negli anni a venire, il giovane presbitero presterà il suo servizio ministeriale anche in un centro sociale di ispirazione cattolica e ricoprirà alcuni incarichi all’interno dell’Azione cattolica e di alcuni organismi diocesani. Il 1° ottobre 1970 è inviato parroco a Godrano, paesino con forte presenza di cristiani pentecostali e, soprattutto, dilaniato da faide familiari. In questo piccolissima realtà del palermitano, don Pino si spende per la riconciliazione tra le famiglie e per l’annunzio della Parola, organizzando anche missioni popolari.

Nell’agosto del 1978 ritorna a Palermo e, alla fine del 1979, per mandato dell’arcivescovo card. Pappalardo, dà vita a una comunità vocazionale per giovani in discernimento e viene anche nominato direttore del Centro diocesano vocazioni. In questo ambito don Pino si prodiga generosamente coinvolgendo decine di realtà ecclesiali palermitane, stimolando l’intera Chiesa a prendere consapevolezza della dimensione vocazionale di ogni scelta di vita e organizzando decine di campi vocazionali per giovani. Nel secondo quinquennio degli anni Ottanta i vescovi siciliani lo nominano direttore del Centro regionale vocazioni, servizio che don Pino esplica lodevolmente, senza per questo venir meno alla preziosa opera di accompagnamento spirituale rivolta a tantissimi credenti e a diverse realtà e movimenti ecclesiali. Nel marzo 1990 l’arcivescovo lo nomina assistente diocesano della Federazione universitaria cattolica italiana (FUCI). In settembre accetta di andare parroco a Brancaccio, quartiere ad altissima densità mafiosa, dove verrà ucciso, dopo appena tre anni di ministero svolto evangelizzando e promuovendo il riscatto dei parrocchiani, proprio il giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno.

 

Puglisi: un prete

La vita e, soprattutto, l’esercizio del ministero di don Puglisi, possono costituire, a nostro avviso, un punto di riferimento per i presbiteri italiani.

Don Pino ha vissuto pienamente la conformazione a Cristo amandolo nella sua Parola, incontrandolo nella celebrazione sacramentale e servendolo nei fratelli e nelle sorelle, specie se ultimi e/o più deboli. Il servizio ai credenti lo ha portato a prendersi cura, fin da giovane presbitero, della loro vita, in tutte le sue dimensioni: da quella più propriamente spirituale ai tanti bisogni emergenti, combattendo strenuamente, con le sole armi del Vangelo, ogni forma di lesione e offesa della dignità umana.

Uomo della Parola e servitore del Vangelo, quotidianamente annunciato, Puglisi ha accompagnato centinaia di credenti nella vita secondo lo Spirito, aiutandoli, se giovani, nel discernimento vocazionale e facendosi prossimo con tutti nel paziente ascolto e nell’assistenza concreta per affrontare le tante difficoltà e traversie che la vita riserva a ogni uomo e donna.

Presbitero profondamente intriso dello spirito del Vaticano II, ha accolto pienamente la riflessione conciliare sulla soggettualità della Chiesa locale, che in lui si è concretizzata nella partecipazione attiva agli organismi diocesani e nella generosa disponibilità verso chiunque, singola persona e/o realtà ecclesiale, bussasse alla porta del suo cuore. E tutto questo in una radicale scelta della povertà, lontano dai riflettori e nella generosa disponibilità nei riguardi di ogni proposta ricevuta, anche quando venne inviato in zone «difficili», quali Godrano e Brancaccio.

Alla luce del riconoscimento del suo martirio — giunto al termine di una vita vissuta interamente al servizio di Cristo e degli uomini – don Puglisi può rappresentare un modello e uno sprone per i tanti presbiteri italiani che vivono, con fatica e sacrificio, il loro impegno ministeriale in tante zone torbide di molte regioni del nostro paese (dalla Lombardia alla Sicilia), perché attingano da lui quella fermezza evangelica e quel diuturno coraggio, che sempre hanno contraddistinto la vita e l’operato del parroco palermitano.

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La causa di beatificazione

Subito dopo la morte di don Pino, diversi membri della Chiesa di Palermo — ma anche donne e uomini non credenti – hanno parlato di lui come di un martire della fede. Sia le persone che lo avevano conosciuto in vita, apprezzandone le qualità umane e presbiterali, sia coloro che lo hanno «scoperto» post mortem, in diverse occasioni hanno manifestato, verbalmente e per iscritto, il desiderio di vedere presto canonizzato dalla Chiesa don Puglisi, proprio per la sua ferma e intrepida testimonianza evangelica.

Già il 29 dicembre 1998 l’allora arcivescovo di Palermo, card. De Giorgi, facendosi interprete del sentire dell’intera Chiesa palermitana, manifestò l’intenzione di compiere i necessari passi in vista dell’apertura del processo canonico per il riconoscimento del martirio di don Puglisi. Il 22 febbraio dell’anno seguente fu istituita la Commissione diocesana per la beatificazione del parroco di Brancaccio col compito di fungere da parte attrice. Il 23 maggio 1999, i vescovi della Conferenza episcopale siciliana dettero il parere favorevole per l’introduzione della causa. Il giorno dopo, mons. Domenico Mogavero[2] fu nominato postulatore e, il 25 maggio, fece richiesta all’arcivescovo d’istruire la causa per il riconoscimento, da parte della Chiesa, del martirio di don Puglisi.

L’11 settembre 1999 la Congregazione delle cause dei santi concesse il necessario nihil obstatper l’apertura del procedimento canonico diocesano. Quattro giorni dopo, nella chiesa cattedrale di Palermo si insediò il Tribunale diocesano e si aprì il processo super vita et martyrio servi dei Iosephi Puglisi, sacerdotis dioecesani, in odium fidei, uti fertur, interfecti. Il 6 maggio 2001 si celebrò l’ultima sessione del processo e tutto il materiale fu inviato a Roma.

Il 16 gennaio 2004 la Congregazione delle cause dei santi emise il decreto di validità del processo celebrato nella fase diocesana e assegnò la causa al relatore, padre Daniel Ols. Il domenicano francese nominò (8 novembre 2004) chi scrive suo collaboratore esterno per la redazione della Positio super martyrio. Il 10 ottobre 2006 i consultori teologi della Congregazione vaticana espressero unanime risposta affermativa. L’11 novembre 2006 mons. Giovanni Paolo Benotto[3] fu nominato ponente della causa, in vista del congresso ordinario dei cardinali e dei vescovi membri della Congregazione delle cause dei santi (12 dicembre 2006). Nel corso della seduta, i padri rilevarono alcuni aspetti che andavano ulteriormente chiariti in vista della prosecuzione della causa. La Congregazione formulò così alcune domande (23 maggio 2007), alle quali ha fornito risposta esauriente il nuovo postulatore (nominato il 6 agosto 2010), il religioso bocconista mons. Vincenzo Bertolone.[4]

Il 28 giugno 2012, infine, papa Benedetto XVI ha autorizzato la Congregazione delle cause dei santi a promulgare il decreto sul martirio in odium fidei del presbitero palermitano ucciso dalla mafia.

 

Mario Torcivia

 


[1] Sulle motivazioni teologiche che hanno portato al riconoscimento del martirio di don Puglisi e sull’incompatibilità tra Vangelo e mafia, rimandiamo al nostro: Il martirio di don Giuseppe Puglisi. Una riflessione teologica. Editrice Monti, Saronno 2009

[2] Allora presbitero della Chiesa palermitana e sottosegretario della CEI; dal 31 marzo 2007 è vescovo di Mazara del Vallo.

[3] Allora vescovo di Tivoli; dal 2 febbraio 2008 è arcivescovo metropolita di Pisa.

[4] Allora vescovo di Cassano all’Ionio; dal 2011 è arcivescovo metropolita di Catanzaro- Squillace.