Laicità e Stato: che cosa ha detto davvero il Card. Scola

Riportiamo qui, da “Vino nuovo”, chiarimenti riguardanti il discorso del Card. Scola. L’argomento ci sembra di grande importanza e lo riportiamo così come pubblicato da Vio Nuovo.

di Vino Nuovo | 09 dicembre 2012

Il testo integrale del discorso di sant’Ambrogio (giustamente non passato inosservato) e due commenti di Roberto Beretta e Luca Rolandi

Il discorso «L’Editto di Milano: initium libertatis» – pronunciato giovedì dal cardinale Angelo Scola nel tradizionale appuntamento dei primi vespri della festa di sant’Ambrogio, patrono di Milano – sta facendo molto discutere perché tocca un nodo centrale oggi, come la declinazione concreta della dimensione della laicità. Molte sono state però in queste ore anche le letture parziali di questo discorso, con qualcuno che arrivato addirittura a parlare di un attacco alla laicità dello Stato. Per questo ci sembra importante innanzi tutto offrire ai nostri lettori che non abbiano già avuto modo di leggerlo altrove il testo integrale dell’intervento di Scola:

http://angeloscola.it/blog/2012/12/06/vita-buona-e-buon-governo-vanno-di-pari-passo/
Ed è partendo da qui che – come è nostra abitudine – vogliamo aprire il dibattito su Vino Nuovo iniziando a ospitare due commenti di Roberto Beretta e Luca Rolandi.

Video dell’intervento del Card. Scola

 

Uno dei passaggi fondamentali del discorso:

“Ora, rispettare la società civile implica riconoscere un dato obiettivo: oggi nelle società civili occidentali, soprattutto europee, le divisioni più profonde sono quelle tra cultura secolarista e fenomeno religioso, e non – come spesso invece erroneamente si pensa – tra credenti di diverse fedi. Misconoscendo questo dato, la giusta e necessaria aconfessionalità dello Stato ha finito per dissimulare, sotto l’idea di “neutralità”, il sostegno dello Stato ad una visione del mondo che poggia sull’idea secolare e senza Dio. Ma questa è una tra le varie visioni culturali (etiche “sostantive”) che abitano la società plurale. In tal modo lo Stato cosiddetto “neutrale”, lungi dall’essere tale fa propria una specifica cultura, quella secolarista, che attraverso la legislazione diviene cultura dominante e finisce per esercitare un potere negativo nei confronti delle altre identità, soprattutto quelle religiose, presenti nelle società civili tendendo ad emarginarle, se non espellendole dall’ambito pubblico. Lo Stato, sostituendosi alla società civile, scivola, anche se in maniera preterintenzionale, verso quella posizione fondativa che la laicité intendeva rigettare, un tempo occupata dal “religioso”. Sotto una parvenza di neutralità e oggettività delle leggi, si cela e si diffonde – almeno nei fatti – una cultura fortemente connotata da una visione secolarizzata dell’uomo e del mondo, priva di apertura al trascendente. In una società plurale essa è in se stessa legittima ma solo come una tra le altre. Se però lo Stato la fa propria finisce inevitabilmente per limitare la libertà religiosa”. 

 

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«Perché Scola ha ragione» di Roberto Beretta

http://www.vinonuovo.it/index.php?l=it&art=1079
Da piccolo politico «di base» vedo che la cosa più difficile è conciliare i diritti della propria coscienza con un’idea di «disciplina» e di «unità» che sconfina spesso nell’unanimismo

«Laicità: terreno di dialogo, non di scontro» di Luca Rolandi

http://www.vinonuovo.it/index.php?l=it&art=1078

Nell’ottica della “Dignitatis Humanae” laicità, secolarità e pluralismo sono intesi come valori positivi e vengono contrapposti a laicismo, secolarismo e relativismo.

Bisogna far scomparire il cristianesimo per rispetto delle altre fedi? Ma a chi fa veramente paura Gesù di Nazareth?

Una scuola del Nord proibisce di festeggiare il Natale e chiede di usare l’espressione “Festa della Luce”. In nome del rispetto delle altre fedi. Viene da chiederselo sul serio: ma a chi fa veramente paura Gesù di Nazareth?

Una scuola del nord che cambia il nome del Natale in “Festa della Luce”, per non “ledere” la sensibilità di chi professa un’altra fede. La fonte è il sociologo, Massimo Introvigne, responsabile in Italia dell’Osservatorio della Libertà Religiosa, in una intervista di Lucia Fiore, apparso sul sito di Radio Vaticana, il 23 novembre 2012. Ci si chiede come mai, per esempio, in quel crogiolo di nazioni, culture e religioni, forse non sempre pacificamente integrate fra loro, che sono Gli Stati Uniti d’America, ognuno professa pacificamente la propria fede. Certo, in una scuola pubblica degli USA non è possibile iniziare le lezioni con una preghiera alla Madonna. Ma se un gruppo di allievi della scuola pubblica, per esprimere i valori della propria fede, volesse fare un presepe in un corridoio (lì il presepe non è tradizione, è solo un esempio), nessuno lo vieta. Sarebbe visto e accolto come espressione della diversità e della creatività religiosa di una delle tante presenze. Così, allo stesso modo, all’approssimarsi del Natale cristiano, gli ebrei celebrano la festa dell’Hanukkah, la festa delle Luci. In tv non è raro sentire fare gli auguri di Natale ai cristiani e per la festa dell’Hanukah agli ebrei. Quando inizia il Ramadan dei musulmani, la notizia, anche in Italia, va su tutti i telegiornali. Non vi è nulla che impedisce la pacifica convivenza dell’espressione delle tradizioni religiose delle diverse religioni.

Allora cos’è che rende così minaccioso il cristianesimo? E perché a farne più problema sono, più che i fedeli di altre religioni, i figli di una nazione che porta nel suo codice genetico  le radici – almeno culturalmente, ma non solo – cristiane? A chi fa davvero paura Gesù di Nazareth al punto che si è disposti a fare, nei centri commerciali, presepi senza Gesù, Maria e Giuseppe, cioè presepi che rappresentano un paesaggio innevato. E un presepe senza Gesù, a quel punto cosa significa? Perché allestirlo? Ammesso che abbia un significato di qualche tipo, perché non farlo a febbraio, invece che a dicembre? Già… ai centri commerciali un presepe serve come attrazione per i consumatori e serve a Natale, e non a febbraio, perché Natale è il tempo delle super-vendite e dell’incremento del turbo-consumismo.

Davvero Gesù e il cristianesimo sono una minaccia tale, in Italia, per le altre fedi, al punto che è opportuno eliminare tutti i presepi, il nome del Natale, i crocifissi dalle aule e istituire, in una, dieci o mille scuole del nord, o di tutta l’Italia, una Festa della Luce, la cui origine risale a quel paganesimo? Questa “Festa della Luce” non richiama l’antica festa pagana del dio sole d’inverno, che si celebrava proprio il 25 dicembre, a cui i cristiani vollero sostituire il Natale proprio per celebrare Gesù, il loro sole, la luce del mondo?

C’è qualcosa di veramente maligno che sta avvenendo nella società italiana e che non ha nulla a che fare con le apparenze. E’ come dire: qualunque cosa, purché non sia Cristo. Qualunque compromesso, perfino un goffo ritorno a una sconosciuta usanza pagana. Purché non sia Gesù di Nazareth. Si faccia la Festa della Luce. Sostituiamo il Natale con una celebrazione pagana. Creiamo un rito religioso non cristiano. Inventiamoci una fede laica. Ci aveva già pensato la rivoluzione francese, imponendo ai vescovi di parogi di offrire sacrifici sacrileghi alla dea ragione, per celebrare la fine del cristianesimo e della civiltà cristiana. In nome dei valori della tolleranza e dei lumi della ragione. Avremo davvero risolto il problema del rispetto verso le altre fedi? No, abbiamo solo distrutto la fede cristiana, e creato una fede laica, in nome del rispetto di coloro che professano un’altra fede.

Un amico mi riferiva in questi giorni di un episodio accaduto in una scuola della Calabria. In nome del rispetto di alcuni alunni di fede musulmana, l’insegnante fece togliere una immagine della Madonna appesa alla parete. Di cui forse neanche gli alunni cattolici, forse, si accorgevano. Sono insorti i genitori degli alunni musulmani, colpiti dallo scandalo del poco rispetto che i cattolici hanno verso Myriam, cioè Maria, e hanno chiesto di rimettere l’immagine alla parete. Davanti all’indifferenza degli altri… cattolici.

A proposito del crocifisso nei luoghi pubblici, in Italia siamo a conoscenza della sentenza della Grand Chambre di Strasburgo del 18 marzo 2011 sul caso Lautsi contro L’Italia, che mette fine al divieto di esporre i simboli sacri del cristianesimo nei luoghi pubblici, in Italia?

(EC)

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A chi fa paura il presepe? Il sociologo Introvigne sul Natale “politicamente corretto” 

2012-11-23 Radio Vaticana

Nella cittadina di Caorso, in provincia di Piacenza, con la motivazione di non offendere i bambini stranieri, la direttrice di un istituto scolastico comprensivo ha pensato di eliminare il presepe ed altri riferimenti religiosi a 120 bambini per far vincere – secondo lei – il multiculturalismo. Lucia Fiore ne ha parlato con il sociologo, Massimo Introvigne, responsabile in Italia dell’Osservatorio della Libertà Religiosa, promosso dal Ministero degli Esteri italiano.
R. – Siamo di fronte a uno “sciocchezzaio” spesso neppure fondato su una conoscenza degli elementi di fatto. Ogni anno mi capita di intervenire su questi temi. Solo per rimanere alla mia regione, in Piemonte negli ultimi anni abbiamo avuto una scuola elementare che ha cambiato la parola “Natale” con “Festa della luce” – senza rendersi conto che per questo esiste un precedente ed è quello della Germania nazional-socialista – e un istituto scolastico che ha abolito il Natale per rispetto agli alunni cinesi prima di accorgersi che i pochi alunni cinesi presenti erano tutti cristiani!

D. – Togliere i riferimenti religiosi al Natale per concentrarsi su temi universali come l’amicizia e la fratellanza può essere questo un sano concetto di laicità?
R. – Credo proprio di no. Penso che chi fa queste proposte dovrebbe rileggersi le opinioni dei giudici della Corte europea e dei diritti dell’uomo in sede di appello nella sentenza Lautsi relativa al Crocifisso. Questi giudici ci dicono, con chiarezza, che proprio il riferimento a Gesù Cristo in un Paese come l’Italia – che, piaccia o no, è segnato così profondamente dalla cultura cristiana – anche ai non cristiani parla di temi universali come l’amore per tutti, il dare la vita per gli altri e il rispetto per ogni uomo.

D. – Si sentono discriminati questi ragazzi che non sono cristiani nel veder celebrare la festa?
R. – Chi si sente discriminato di solito fa parte di minoranze più spesso laiciste che non di altre religioni. Posso raccontare un altro episodio. Qualche anno fa proprio mentre a Milano alcune scuole pubbliche eliminavano il presepe o i fraterni “Buon Natale” per il presunto rispetto agli alunni musulmani, la scuola islamica – e io ci sono entrato quell’anno – proprio all’ingresso aveva un grosso cartello che augurava “Buon Natale”.

D. – Quale appello lancerebbe a chi ha preso questa decisione?
R. – L’appello è quello di riflettere sul deporre, per un momento, l’ideologia e fare prevalere quella che dopo tutto rimane una delle caratteristiche dell’ethos italiano, cioè il buon senso. Il buon senso, che è stato felicemente condiviso dopo i furori ideologici di primo grado dai giudici di appello della Corte europea dei diritti dell’uomo, ci dice che per gli italiani il Natale, la Pasqua, i riferimenti a Gesù Cristo, sono portatori di un messaggio universale che percorre tutta la nostra cultura, tutta la nostra letteratura, la nostra arte, la nostra storia, e che è un messaggio che fa appello ai valori più alti e nobili nell’uomo che come tale è stato condiviso e, di fatto, è condiviso da tanti non credenti.

Per la mentalità dominante tutto è sacro eccetto Gesù

Dal Blog di Antonio Socci  – 20 settembre 2012

http://www.antoniosocci.com/

Libertà di satira, di foto e di critica da una parte. Dall’altra rispetto della fede, della privacy e della dignità personale. Il conflitto sembra riproporsi ogni giorno: le foto della principessa inglese, le vignette di Vauro sul ministro Fornero, le (nuove) vignette su Maometto del settimanale “Charlie Hebdo”, il filmaccio sull’Islam che ha scatenato violente reazioni. E altri film anticristiani che non hanno suscitato neanche proteste.

Si ripropone pure il caso Rushdie con l’ultimo suo libro appena uscito e anticipato l’altroieri da “Repubblica” col titolo “Quando arrivò la fatwa e pensai: sono morto”.

Rushdie, che vive protetto in Occidente da quando lo stesso Khomeini sancì la sua condanna a morte per il romanzo “I versi satanici”, ritenuto blasfemo, è considerato un Eroe nei salotti intellettuali. Che poi, magari, predicano il multiculturalismo e l’apertura acritica al mondo islamico.

Salotti che soprattutto se ne infischiano della sorte dei cristiani che vivono perseguitati e sotto costante minaccia in regimi musulmani come il Pakistan.

Eppure sono cristiani che mostrano ben più eroismo di qualunque scrittore che vive in Occidente come Rushdie.

Sono le contraddizioni dei laici nostrani. Ma tutti ne hanno. Infatti il conflitto fra libertà di espressione e rispetto degli altri (che non è risolto né da leggi né da regole condivise) è influenzato dai rapporti di forza e spesso pone tutti in contraddizione con se stessi.

Prendiamo i francesi. In poche ore hanno preso decisioni opposte. Il tribunale di Nanterre ha sostanzialmente condannato il settimanale  “Closer” per le foto in topless della principessa inglese Kate. Anche se – riferisce il Corriere – “la stampa inglese nota come una sentenza così severa difficilmente sarebbe stata pronunciata in Gran Bretagna”.

Dunque grande rigore oltralpe in difesa della privacy della coppia reale inglese (questione in fin dei conti leggera) e invece assoluta libertà per il settimanale satirico parigino “Charlie Hebdo” il quale propone delle “spericolate” vignette su Maometto che vorrebbero essere una “provocazione” in difesa della libertà di espressione, viste le violente manifestazioni dei paesi islamici contro il film “Innocence of Muslims”.

E visto che, il 2 novembre scorso, la redazione dello stesso settimanale fu bruciata con una molotov mentre il numero in edicola ironizzava sull’Islam (per la vittoria del partito musulmano in Tunisia).

Il Comitato che raggruppa i musulmani francesi condanna questa iniziativa del settimanale come un “nuovo atto di islamofobia che vuole offendere deliberatamente i sentimenti dei musulmani”.

Il premier socialista francese Ayrault ha disapprovato l’iniziativa del giornale satirico, ma non ha preso provvedimenti che limitano la libertà di satira. Invece lo stesso Ayrault ha annunciato il divieto di manifestare a Parigi contro il film “Innocence of Muslims” ritenuto anti-islamico dai musulmani.

Il primo ministro ha usato parole forti: “siamo in una repubblica che non ha intenzione di farsi intimidire… un paese in cui è garantita la libertà d’espressione, compresa la libertà di satira”.

Parole coraggiose. Tuttavia non si capisce perché un paese così libero deve respingere delle richieste di manifestazioni che sono anch’esse espressione libera del pensiero.

Il premier ha detto che “se veramente delle persone si sentono offese nelle loro convinzioni e pensano che sono stati calpestati dei diritti, possono rivolgersi ai tribunali”.

Bene. Ma perché non si può esprimere pacificamente indignazione in piazza per un film o delle vignette che i musulmani ritengono offensive? Il topless della principessa inglese (che è stata paparazzata al pari di una quantità di personaggi famosi al mare), è davvero più sacro inviolabile della fede di milioni di persone?

Se si proibiscono delle manifestazioni legali non si finisce per spingere a manifestare illegalmente (quindi, poi, facilmente, con la violenza)?

C’è chi si chiede pure se abbia senso che – in nome della libertà di satira – si mettano a repentaglio la sicurezza o anche le vite delle persone.

Le risposte non sono facili.

Intanto i fondamentalisti sono in subbuglio e sembra che si annunci una tempesta. Mentre la Lega Araba tuona: “Prima il film che ha provocato reazioni violente, ora le vignette su Maometto. Queste cose devono finire”.

E’ un’intimazione? Bel problema planetario. Veniamo a casa nostra, alla polemica fra il ministro del lavoro e il disegnatore satirico del “Manifesto”, Vauro che ha fatto una vignetta davvero pesante.

Dove la signora Fornero è raffigurata in calze a rete davanti al telefono con questa scritta: “Fiat-Marchionne – Fornero: ‘Aspetto che il telefono squilli’ ”. Titolo della vignetta: “La ministra squillo”.

Vauro (forse) intendeva essere sarcastico sull’ “attendismo” della Fornero sulla Fiat, ma con disegni e parole che – a mio avviso – giustificano la dura risposta del ministro: “Trovo vergognosa la vignetta di Vauro che denota il persistente maschilismo, volgare e inaccettabile, da parte di alcuni uomini”.

Vauro ovviamente se la ride, è uno di coloro che osannano la libertà di satira come se fosse l’unica cosa sacra e intoccabile del mondo.

Però con un’eccezione. Condannò come “cattivo gusto” le famose vignette su Maometto del febbraio 2006 e disse: “non le avrei mai messe in pagina”.

In effetti quante volte il disegnatore del “Manifesto”, che pure è così graffiante sulla Chiesa Cattolica e i suoi simboli sacri, si è permesso di toccare l’Islam?

Come e quando ha fatto satira in quella direzione? E’ sempre “di cattivo gusto” o è semplicemente pericoloso?

Invece sul cristianesimo, la Chiesa e il papa è sempre permesso tutto. Non si rischia nulla. Le “provocazioni” ormai sono così abusate che non fanno più notizia.

Lo si è visto al recente festival del cinema di Venezia. E’ stato annunciato come uno “scandalo” esplosivo il film “Paradise Faith”, in cui la protagonista pratica l’autoerotismo utilizzando un crocifisso.

Sebbene la trovata sia effettivamente inqualificabile non ha suscitato la minima reazione in nessuno (come pure altri episodi di fondamentalismo anticristiano dei mesi scorsi).

Perché è scontato che su Cristo e la Chiesa tutto sia permesso e nessuno protesti o li difenda.

Qualche cattolico si è detto sconcertato perché il 12 settembre una severa dichiarazione di padre Federico Lombardi, portavoce della sala stampa vaticana, ha tuonato in difesa di Maometto e non di Gesù contro “le ingiustificate offese e provocazioni”. Infatti non si riferiva al film di Venezia, ma a quello prodotto in America e giudicato offensivo dagli islamici.

Tuttavia padre Lombardi ha anche pronunciato parole che valgono per tutti i casi: “il rispetto profondo per le credenze, i testi, i grandi personaggi e i simboli delle diverse religioni è una premessa essenziale della convivenza pacifica dei popoli”.

Inoltre la Chiesa in genere evita proteste pubbliche contro quelle “provocazioni” anticristiane perché i loro autori spesso cercano proprio questa pubblicità, per atteggiarsi a martiri della libertà di espressione e far passare la Chiesa come un’istituzione intollerante e oscurantista.

Infine è giusto che padre Lombardi abbia fatto tempestivamente quella dichiarazione contro il film antislamico per scongiurare il rischio che nei paesi musulmani le folle urlanti se la prendano – come accade spesso – con le minoranze cristiane, identificate arbitrariamente con coloro che, stando in Occidente, bersagliano il loro Profeta.

Ma la situazione è assurda.

In queste ore abbiamo scoperto che sacre e intoccabili sono: l’immagine dei seni della principessa inglese, la satira, la libertà di espressione, lo stato francese, l’Islam, Rushdie, i ministri italiani e i disegnatori satirici.

L’unico, per la mentalità dominante, a non essere ritenuto sacro e intoccabile è Gesù Cristo. Inerme, il Figlio di Dio è alla mercé di chiunque.