Gianna Beretta Molla – Santità che riverbera

Luciano Moia – Avvenire28 aprile 2012

Tutti i santi, grazie al coraggio controcorrente che ha permesso loro di vivere al di là degli schemi, sono in qualche modo pericolosi. Virtuosamente pericolosi. Ma i santi “familiari”, che hanno saputo intrecciare virtù cristiane e quotidianità domestica e hanno contagiato direttamente con le loro scelte il marito o la moglie, i figli, i fratelli e i parenti, presentano una quota ancora più elevata di dirompente contagiosità. Quindi diventano riferimenti di straordinaria umanità, capaci di allargare a cerchi concentrici l’esplosione del bene, di innescare vocazioni decisive, di prolungare per molti anni l’effetto positivo di un gesto, di una parola, di uno stile di vita.

Se ne aveva una percezione, profonda e sorprendente insieme, conversando con Pietro Molla, il marito della santa Gianna di cui oggi si ricorda il cinquantesimo anniversario della morte. Ingegnere, dirigente industriale, uomo tutto d’un pezzo come erano un tempo i figli della buona borghesia imprenditoriale lombarda, Pietro è morto due anni fa, il 3 aprile 2010. Aveva 98 anni. Ora, se la maternità coraggiosa di Gianna – che preferì morire piuttosto che mettere a rischio la nascita della sua quarta figlia – ha assunto i contorni dell’eroismo cristiano, dovremmo riflettere senza pregiudizi e con altrettanta attenzione sulla vita lunga e silenziosa di Pietro.

Se tralasciassimo la fede e la prospettiva cristiana, lo potremmo definire un uomo sfortunato. Si era sposato non più giovanissimo, almeno per l’epoca, visto che aveva ormai 43 anni. E, dopo soli sei anni e mezzo di matrimonio, si era ritrovato senza moglie e con quattro bambini da crescere, la più piccola appena nata, il più grande che vestiva appena il grembiulino della prima elementare. Una situazione tale da disorientare e atterrire anche l’uomo più coraggioso. Invece Pietro si è caricato del suo dolore e, per tanti anni, ha accompagnato con pazienza e con prudenza la crescita dei suoi figli. Tutte le testimonianze concordano nel riferire che, di fronte alla scelta estrema della moglie, non esitò un solo istante ad appoggiare quella decisione. Ma al di là delle versioni ufficiali e anche di quanto lui poi scrisse ricordando quei mesi di angosciante attesa, è facile immaginare la lacerazione di quell’animo, gli sguardi silenziosi, la sofferenza composta di un uomo educato a mettere al primo posto il dovere, ma non per questo insensibile di fronte alla prospettiva sconvolgente verso cui la moglie si stava avviando.

Di quelle settimane sospese tra la vita e l’infinito, rimangono pochi frammenti. Ma quanto mai eloquenti. Scriverà infatti anni dopo Pietro: «Mi preoccupava quel tuo silenzioso riordinare per giorni e giorni ogni angolo della nostra casa, ogni cassetto, ogni abito e oggetto personale come per un lunghissimo viaggio…». Lei partì infatti verso quella meta che aveva scelto sorretta da una fede senza scalfitture («Il Signore farà quello che è giusto per la mia famiglia»). Lui è rimasto per quasi mezzo secolo accanto ai suoi figli. Una scelta silenziosa, ma forte e controcorrente almeno quanto quella della moglie Gianna. A dimostrazione che in famiglia il bene non si può circoscrivere o limitare. Ecco perché oggi, anche se le date non coincidono, sarebbe giusto parlare di anniversario di coppia. In una luce che abbraccia con identico splendore un comune percorso. Che ancora continua.

 

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